Dopo un mese di discussioni (dal 10 settembre all’8 ottobre) in cui le forze politiche non sono riuscite a trovare un accordo su un sistema elettorale, è intervenuta una pausa di oltre due settimane, nonostante per questa riforma sia stata votata (in agosto) la procedura d’urgenza.

Poi, il 24 ottobre, i due relatori (uno del Pd e uno del Pdl) hanno presentato una “ipotesi di lavoro concordata”, che non è ancora una proposta, perché i nodi da sciogliere rimangono troppi.

L’ipotesi, però, non solo è ancora indefinita, ma anche assai poco lineare.

La sua caratteristica principale è quella di basarsi comunque sul sistema attuale. Le liste bloccate (anche se più corte, il che è certo un miglioramento) rimangono, infatti, almeno per il 20% dei seggi della Camera e – se prevarrà l’impostazione del Pdl – anche per il rimanente 80% e per tutti quelli del Senato. Del resto il Pd propone, in alternativa, l’introduzione della preferenza che può comportare, come noto, problemi clientelari di non poco conto.

Soprattutto, però, non è risolta la questione attinente al premio di maggioranza. Infatti, c’è convergenza – pare – solo sul fatto che esso scatti solo per chi abbia raggiunto il 40% dei voti. E se ciò non avviene? L’alternativa sembra tra lo spareggio a livello nazionale tra le due coalizioni più votate (che suscita moltissime perplessità) e la mancata attribuzione del premio (che renderebbe il sistema, in sostanza, un proporzionale puro). Ma sul premio di maggioranza si crea anche un altro problema: che fare se esso scatta per coalizioni o liste diverse nelle due Camere? Per ora la questione rimane aperta, l’unica ipotesi in campo essendo la sua mancata attribuzione (introducendo così un ulteriore caso di scivolamento verso il proporzionale puro).

Rimane anche una complicata pluralità di soglie di sbarramento (che al Senato peggiora perfino), mentre sono previsti in modo condiviso – tra le rarissime note positive – sistemi volti a garantire la “rappresentanza di genere”.

Continua a risultare difficile comprendere perché si preferisca un sistema così complesso e pieno di insidie rispetto ad un maggioritario, come anche il già sperimentato Mattarella (depurato dagli inconvenienti derivanti dal sistema dello “scorporo”), che consentirebbe un chiaro confronto di idee alternative e la possibile formazione di una maggioranza (nomen omen).

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