Non è molto difficile immaginare che tra Schulz e Tsipras, tra il tedesco e il greco, abbia più simpatie il secondo del primo.

Certo, è un fatto prepolitico, psicologico, ma anche tutto politico: è sufficiente leggere quanto ha detto Habermas proprio all'Spd per rendersene conto.

Ora, il Pd aderirà (finalmente) al Pse, candiderà Schulz ma la questione politica che si troverà ad affrontare, in termini elettorali, sarà un'altra. Siamo indietro di un giro: perché, come scrivevamo nel documento congressuale, il problema per il Pd e per il Pse è aprirsi a chi in Europa più si è battuto per le svolte in campo sociale (che non ci sono state), per un modello di sviluppo molto diverso (vedi alla voce Verdi europei) e per un'estensione dei diritti (anche quelli civili).

Ieri, tanto per capirci, Letta ha ribadito lo schema delle larghe intese europee (lui le farebbe sempre e comunque, gli piacciono proprio) e Schulz è reduce dalla stesura del patto per il governo della Grosse Koalition tedesca, che ribadisce tutta la severità merkeliana verso il Sud dell'Europa (che poi saremmo noi). Il tedesco insomma fa il tedesco e non dissimula più di tanto la sua tedeschità.

L'opzione Tsipras, d'altra parte, è affascinante e affascina molti, anche chi – come Curzio Maltese o, parzialmente, Michele Serra – ha fatto capire che l'unica soluzione per l'Italia sarebbe stata quella di scegliere Renzi: ora l'unica soluzione per l'Europa è votare Tsipras. Non importa se le due cose sono in totale contraddizione. E se votare Tsipras significa non votare Renzi. E creare le condizioni perché in Italia nasca una sinistra (plurale, che infatti sta già un po' litigando) alternativa al Pd di Renzi, capace di metterlo in difficoltà anche quando si tratterà di votare per il governo italiano (quanto è successo al congresso di Sel, che tutti hanno fatto finta di non rilevare, ce lo dice abbastanza chiaramente)

Per il Pd (e per Repubblica) le Europee erano già difficili, così rischiano di diventare un'impresa impossibile.

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