Da un po' insisto sulla questione della disuguaglianza, alla De Blasio, per capirci.

Oggi Barbara Spinelli su Repubblica rilancia:

Fin dalla prime sue mosse, negoziando con il pregiudicato Berlusconi la legge elettorale, il leader ha fatto capire che la rappresentatività è un bene minore. Il suo Pd stenta a mediare fra società e Stato. È degenerato in "cartello elettorale stato-centrico", sostiene Piero Ignazi: è parte dello Stato anziché controparte; ha un potere che tanto più si dilata al centro, quanto più si sfilaccia il legame con gli iscritti, le periferie, la democrazia locale (Ignazi, Forza senza legittimità, Laterza 2012). Per questo l'odierno sviluppo partitocratico è solo in apparenza paradossale. Mandare in fumo l'eredità della sinistra – la lotta alla disuguaglianza, la difesa del bene pubblico – induce il Pd a trascurare l'arma principale evocata da Barca: la tassazione progressiva dei patrimoni più elevati (articolo 53 della Costituzione). L'economista Joseph Stiglitz fa calcoli più che plausibili, anche per l'Italia: "Se chi appartiene al primo 1 per cento incassa più del 20 per cento del reddito della nazione, un incremento del 10 per cento dell'imposta sul reddito (senza possibilità di sfuggirvi) potrebbe generare entrate pari a circa il 2 per cento del Pil del Paese".

Ora, a parte una certa confusione sui concetti di reddito e di ricchezza, Spinelli coglie un problema che abbiamo cercato di segnalare alla segreteria del Pd a proposito del piano per il lavoro, prima che si decidesse di andare al governo direttamente.

Un documento che purtroppo non potrà essere ripreso nel patto del nuovo governo perché non piace ad Alfano, che sul punto è stato chiarissimo. Tra quattro anni ne riparleremo. Tranquilli.

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