Valentina Spata mi scrive dalla Sicilia, riprendendo un antico slogan dell’attuale segretario nazionale: «Non vogliamo il Pd dei corsi di formazione come in Sicilia».

È ormai evidente come la gestione della Formazione Professionale in Sicilia, continua ad essere segno inequivocabile di un’illegalità diffusa, che invita tutti ad una riflessione profonda. E si comprende ancor di più la gravità della situazione, nel momento in cui viene fuori, anche se si sapeva, come la politica, ha costruito le sue fortune elettorali proprio nella Formazione, facendo propri i metodi che abbiamo sempre contestato ai precedenti Governi.

Imbarazzante per il Pd, prima il caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della Regione Siciliana, condannata dalla Corte dei Conti a risarcire 1,3 milioni di euro per finanziamenti non dovuti agli enti di formazione professionale, poi quello dell’esponente del Pd più votato alle primarie per i parlamentari in Sicilia e in tutta Italia per cui è stato richiesto l’arresto a fronte dei reati di peculato, riciclaggio e furto ai danni della Regione Siciliana per un totale di 6 milioni di euro.

Un sistema quello della Formazione Professionale, dove la politica e i sindacati hanno mostrato, non l’interesse per lo sviluppo della Sicilia, ma l’interesse alle lobbies di potere.

Oltre settemila dipendenti. Assunzioni effettuate dagli Enti ma che in realtà, sono state guidate dalla politica e dai sindacati. Troppi soldi spesi che hanno inciso negativamente sui bilanci della Regione (400 milioni di euro l’anno). Un sistema malato che, lungi dall’essere impiegato per creare ricchezza in un’area del Paese con più del 30% di disoccupazione, diviene strumento per ottenere contributi dallo Stato e dall’Unione Europea e per “piazzare” i propri familiari in ruoli chiave senza pensare, tra l’altro, alla qualità della formazione erogata, alle prospettive di lavoro di chi frequenta i corsi ed alla qualità degli stessi. Un settore che tarda da anni a rinnovarsi.

Tutto questo, senza responsabilità direttamente ascrivibili ad alcuno, e senza rischio di danno patrimoniale per assessori, direttori e dirigenti che, a piene mani, hanno attinto dal bacino dei posti disponibili. Insomma, un fiume in piena per i politici, indistintamente dal colore e dalla appartenenza, che va ad ingrossare il bacino elettorale.

A Messina si è costituito un vero e proprio centro di interessi, che coinvolge, enti, società e politica. In tanti, purtroppo anche del Pd, hanno creato le loro fortune. Coinvolti in questo sistema anche altri esponenti di primo piano del Pd siciliano, da Trapani a Messina, e sono tanti gli Enti e i dirigenti politici finiti sotto inchiesta dalle diverse Procure Siciliane grazie alle denunce dei dipendenti e dei sindacalisti onesti.

Un settore, quello della formazione, che ha trascinato nella palude la Regione Siciliana e che oggi vede tantissimi dipendenti, vittime di questo sistema oramai incancrenito, ridotti alla fame. Sono loro a doverne pagare le conseguenze. Senza nessuno diritto, senza nessun reddito. Né per loro, né per le loro famiglie.

Tuttavia, ritengo sia necessaria una riflessione prima che, come al solito, venga fatta di tutta l’erba un fascio: l’onestà, l’etica morale, il senso delle istituzioni e la politica intesa come servizio non appartengono ai “partiti” o ai “movimenti” in quanto tali ma agli uomini che ne fanno parte. È importante fare questa distinzione. Così com’è necessario creare una visione radicalmente alternativa all’idea di consenso che la politica ha elaborato in questi anni. Il consenso deve essere inteso come adesione ad un progetto politico di cambiamento, come espressione di cittadinanza attiva e non come elemento su cui si basa la fortuna di pochi. Questo dovrà essere il dovere della politica e soprattutto del Pd, partito di cui faccio parte. Perché la Questione Morale non può essere solo uno slogan elettorale ma deve essere l’esempio della buona politica, che per fortuna esiste ancora.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti