Insomma, rafforzare la dimensione politica dell'Europa significa rendere più evidente una dialettica tra destra e sinistra. Per parte nostra, significa attaccare un'impostazione neoliberista e una politica della mera austerità, che hanno prodotto guasti profondi. […] Non è irresponsabile dire che bisogna uscire dalla gabbia dell'austerità e che una politica di risanamento non può essere seriamente perseguita senza sostenere la crescita e, quindi, senza una interpretazione più flessibile e intelligente dei vincoli sin qui imposti.

È la ripresa degli investimenti, infatti, la condizione essenziale per la crescita, che si può ottenere anzitutto sviluppando una capacità di spesa dell'Ue su questo fronte. La raccomandazione principale a livello europeo è che la dotazione del bilancio dell'Unione venga aumentata gradualmente, sino a raggiungere un più efficace 4% del pil entro il 2020. Ciò consentirebbe un trasferimento significativo di risorse verso i Paesi maggiormente in difficoltà e permetterebbe di agire sulle asimettrie strutturali di fondo dell'Unione monetaria. […] Un programma europeo di investimenti può essere finanziato anche attraverso quella tassazione sulle transazioni finanziarie, a favore della quale si sono pronunciati il Parlamento e la Commissione europei. Come pure sarebbe possibile, nel quadro di una politica comune di tutela dell'ambiente, introdurre una tassa sulle emissioni di CO2. Una politica di investimenti significa, inoltre, consentire una rinnovata capacità dei Paesi membri di sostenere, attraverso l'azione pubblica, politiche di sviluppo, istruzione, e ricerca.

Se penso all'Italia, ad esempio, vi sono riforme non più rinviabili. Le priorità riguardano direttamente il sistema politico, di cui bisogna abbassare i costi e aumentare la trasparenza e la rapidità decisionale, la pubblica amministrazione, di cui bisogna ridurre la macchinosità e accrescere l'efficienza; la giustizia, che deve offrire maggiori certezze ai cittadini e alle imprese. Altra questione cruciale è la lotta alla corruzione e all'evasione fiscale, e la necessità di varare misure che vadano nel senso di un riequilibrio della fiscalità a favore del lavoro e delle imprese, spostandone in parte il peso sulle rendite e i patrimoni. Ecco, dunque, alcuni temi di intervento per riforme strutturali di cui si parla poco ma che certamente aiuterebbero la crescita.

Innanzitutto è indispensabile affrontare la questione della mutualizzazione del debito. In questo senso, credo la proposta più seria in campo sia quella avanzata dal Consiglio tedesco degli esperti economici, che prevede l'istituzione di un Debt Redemption Fund. Esso consiste nella temporanea messa in comune del debito eccedente il 60% del Pil e in un rimborso graduale lungo un periodo di 25 anni. Occorrerebbero circa 5 anni per mettere progressivamente in piedi il fondo comune con il concorso dei Paesi indebitati. È evidente – per essere chiari – che non si tratta di una sistema per far pagare i nostri debiti agli altri. Ciascun Paese, infatti, rimarrebbe responsabile per la propria quota di debito e sarebbero previsti adeguati meccanismi di compensazione per i Paesi più ricchi, che garantiranno, agli occhi degli investitori, la solvibilità dell'intero fondo. Si tratta, piuttosto, di pagare il debito a tassi di interesse più bassi, abbattendo gli spread, contrastando così la speculazione finanziaria e liberando risorse aggiuntive per gli investimenti.

Anzitutto, la riduzione in valore assoluto negli impieghi del settore pubblico colpisce in modo prevalente proprio l'occupazione femminile. Inoltre, il blocco delle assunzioni e i tagli dei posti di lavoro portano a una accresciuta intensità del lavoro, con conseguenze negative sull'equilibrio tra vita personale e vita professionale. Infatti i tagli alla spesa per la cura e l'assistenza investono soprattutto le donne, costringendole a un carico maggiore di impegni familiari e spingendole, in parte, addirittura a uscire del tutto dal mondo del lavoro. È evidente che per stimolare l'occupazione femminile e ridurre in modo significativo la disparità dei livelli occupazionali con gli uomini, una questione particolarmente acuta nell'Europa meridionale, gli investimenti pubblici dovrebbero essere orientati maggiormente verso l'occupazione femminile. Naturalmente, per questa operazione, è necessario ripensare il sistema di welfare, rendendolo più attento alle famiglie, e consentendo così alle donne di essere più libere dal peso del lavoro di cura. […] Quando parliamo di crescita delle diseguaglianze in un'Europa dominata dalla ortodossia neoliberista, sappiamo che non parliamo soltanto di diseguaglianze sociali, ma anche di genere. E sappiamo quanto è aumentata la divergenza nelle retribuzioni in Europa.

Anche per questo, è ormai forte in Europa la spinta a riattivare fondi pubblici e banche pubbliche di investimento, che possano sostenere la riconversione industriale e l'innovazione, che siano in grado di concorrere al finanziamento di infrastrutture strategiche, che siano capaci, in particolare, di contribuire a far crescere settori innovativi, come nel campo delle tecnologie verdi, delle nanotecnologie, delle energie rinnovabili. Bisogna, in definitiva, fondare la ripresa su un ruolo accresciuto di banche regionali e nazionali di sviluppo, insieme a una funzione potenziata dei fondi strutturali europei e della Bei. Questo è l'unico modo per far ripartire innovazione e sviluppo tecnologico in Europa, e per rilanciare la forza e la competitività del nostro sistema economico.

L'Europa non ha una politica comune dell'asilo in grado di affrontare le esigenze umanitarie legate ai conflitti, alle carestie, alle dittature. Una politica che ripartisca l'impegno tra tutti i Paesi europei, senza scaricare sulle spalle di quelli dell'Europa meridionale un peso che rischia di diventare insostenibile.

Da Non solo euro di Massimo D'Alema (grazie a Elly, che l'ha letto e si è appuntata i passaggi che trovate qui sopra).

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