E mentre il premier ‘blinda’ la riforma (che presenta solo oggi, però), dicendo che o si fa come dice lui o se ne va, e chiede, attraverso la non-ancora-vice-segretaria il rispetto della disciplina di partito al Presidente del Senato (!), è il caso di ricostruire il percorso della riforma negli ultimi tre mesi: è importante farlo, perché aiuta a capire molte cose, di come funziona (e di come eventualmente si cambia) la Costituzione.
In premessa, va detto e ripetuto che qualsiasi forzatura sulla Costituzione è inaccettabile, a maggior ragione per un premier (che non è stato votato dai cittadini, tra l’altro) e da un Parlamento che non possono non fare i conti con la sentenza della Consulta.
Ci vorrebbe molta cautela e maggiore rispetto per le prerogative costituzionali di chi si trova a valutare ed eventualmente approvare le riforme, a meno di non voler abolire, nel frattempo, anche l’articolo 67 della Costituzione.
L’indicazione della direzione del Pd, per altro, è molto cambiata rispetto al Senato dei 108 sindaci da cui siamo partiti, e andrebbero rispettate anche le bozze e le convinzioni altrui.
Un conto è voler riformare il bicameralismo, un conto è minacciare ultimatum, discutibili sotto ogni profilo.
Leggendo i giornali, si registra una forte convergenza sulla nostra idea di un Senato più snello, che affianca una Camera dei deputati, anch’essa alleggerita di molti parlamentari (e da costi che abbiamo proposto concretamente di tagliare senza troppa retorica), con poteri differenziati per migliorarne l’efficienza, ma che rimane comunque forte per garantire i diritti fondamentali, un corretto equilibrio tra i poteri e una adeguata coesione territoriale (questo dovendo essere il significato di una camera delle autonomie).
Si tratta di idee alle quali abbiamo dato forma con una proposta presentata alla Camera dei deputati alcuni giorni fa (A.C. 2227) e che abbiamo illustrato in sintesi qui (il plurale dipende dal fatto che ci abbiamo lavorato in tanti, a cominciare da Andrea Pertici). A questa proposta – come ricordava oggi il Corriere della Sera – si stanno ispirando anche un importante gruppo di senatori, a cominciare da Vannino Chiti e Walter Tocci, che pare presenteranno presto un testo simile.
Del resto, in particolare con Tocci eravamo intervenuti da tempo a spiegare come ci sia bisogno di superare il bicameralismo con un Senato diverso e migliore.
In effetti, seguiamo la vicenda da diversi mesi, e in particolare da quando, abbandonata la strada delle “grandi riforme” (che però sembra pian piano tornare), il governo Letta aveva cominciato a parlare di modificare il solo bicameralismo, portando il nuovo segretario del Pd a cominciare a sostenere una abolizione del Senato, che era, in realtà, una trasformazione in un “Senato dei poteri locali”.
Rispetto a quest’idea, che pur con numerose varianti è stata riproposta fino alle ultime ore, ci siamo immediatamente dichiarati cauti in dicembre, sostenendo la necessità di una diversa riforma e ritenendo che, se la seconda Camera doveva divenire una sorta di “ente inutile”, espressione di piccoli interessi localistici che potevano portare ad una disgregazione piuttosto che ad una coesione territoriale, allora sarebbe stato meglio procedere ad una vera abolizione (senza inganni per i cittadini) e giungere a una soluzione monocamerale.
L’attenzione per questa fondamentale questione – che riguarda poi la partecipazione dei cittadini e la loro rappresentanza – era anche uno dei miei buoni propositi per il nuovo anno.
E, infatti, pochi giorni dopo, all’inizio dell’anno, quando l’idea è stata portata ulteriormente avanti, congiuntamente alle tre proposte di riforma elettorale (a fronte delle quali ne abbiamo poi scelta – forse – una quarta), la critica (assolutamente costruttiva e basata sempre su proposte alternative) è stata ribadita.
Tuttavia, parlare di questa riforma con concretezza continuava a risultare difficile perché, come sta accadendo sempre più spesso, nessun testo veniva presentato. Allora ho pensato di presentare alla direzione nazionale del partito una relazione con l’indicazione dei punti fondamentali. E la posizione è stata ribadita alcune settimane dopo quando il segretario del Pd ha ripreso la proposta, peraltro non ancora formulata in nessun testo scritto.
Per averne uno, in effetti, abbiamo dovuto attendere quasi un altro mese e la formazione del nuovo governo (a volte fare in fretta fa perdere tempo). A quel punto, infatti, almeno una bozza – che già ci dicono verrà significativamente modificata – è comparsa sul sito internet di Palazzo Chigi.
Abbiamo così potuto rilevare tutta una serie di problemi che sono stati poi oggetto di critiche anche da parte di costituzionalisti come Carlassare, Caretti, lo stesso Pertici e altri studiosi come Tranfaglia, che chiede legittimamente «A che servirà il Senato?».
Nel frattempo, ho pensato di evidenziare, con un vero e proprio articolo pubblicato su questo stesso blog, tutti i limiti – politici e giuridici – della annunciata proposta di riforma.
Si tratta di critiche ampie e circostanziate. Speriamo che il governo, che intende presentare un proprio disegno di legge costituzionale (che forse avrebbe potuto più opportunamente lasciare all’iniziativa parlamentare), ne tenga adeguatamente conto.
Anche perché ieri una posizione ben diversa da quella fino ad ora portata prepotentemente avanti dall’Esecutivo è stata espressa anche dal Presidente Grasso su Repubblica, come ho fatto immediatamente presente, traendone ancora alcune considerazioni.
Intanto si fanno più forti anche le critiche alla volontà di realizzare riforme costituzionali (che diventano di giorno in giorno più ampie) da un Parlamento eletto in base ad una legge dichiarata incostituzionale (e per questo privo della necessaria legittimazione politica), come ha scritto su Repubblica alcuni giorni fa Alessandro Pace e si sostiene nell’appello di Libertà e Giustizia sottoscritto da molti studiosi ed esperti della materia, che sviluppa anche alcune severe critiche di merito sull’intera riforma (o meglio – come sempre – sui punti annunciati).
In conclusione, quindi, spero vivamente che se una riforma costituzionale le Camere decideranno di affrontare, sia, da un lato, davvero limitata ad alcuni punti per migliorare il funzionamento del Parlamento e renderlo più forte e, dall’altro, possa preservare e anzi aumentare la partecipazione degli elettori ai quali sembra si vogliano dare sempre meno possibilità di scegliere i propri rappresentanti, come scrivevo qualche giorno fa invocando finalmente una primavera italiana.
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