Non posso certo smentirmi (anzi) e non posso che rallegrarmi – dal punto di vista quantitativo – della scelta fatta sulle nomine, limitatamente alla questione dell’equilibrio, perché invece tante altre perplessità continuano ad accompagnarmi.
Sì, perché rimane il problema del conflitto d’interessi, come già per la ministra dello sviluppo economico: è sorprendente che su questo punto si passi con tale leggerezza. E non ho capito come si possa dire che la direttiva Saccomanni sia stata seguita, con la nomina di Marcegaglia.
In secondo luogo, Moretti è talmente bravo e da mercato (cit.) che passa da una società pubblica all’altra: insomma, la polemica con Renzi si è risolta con una vittoria di Moretti, che secondo quanto riportail Fatto, passando a Finmeccanica, andrebbe a guadagnare di più.
Terzo, si era detto che sarebbero state unificate le cariche di presidente e ad, ma non è successo.
Poi in molti casi si tratta di persone che fanno parte dell’establishment (anche di quello più conservatore: parlare di rottamazione mi sembra parecchio azzardato) e che hanno ricoperto cariche politiche, secondo una consolidata tradizione (ex parlamentari, ex europarlamentari, ex sottosegretari, addirittura consiglieri di ministri in carica). Molto a destra, se proprio dobbiamo guardare alla collocazione politica e ideologica, tra l’altro (quello più a sinistra è Moretti, per capirci).
Come nota gran parte della stampa, è stato ben rispettato il ‘Cencelli’ e non sono stati dimenticati amici e sostenitori (non perdendosi l’abitudine – invalsa sin dall’inizio della Seconda Repubblica – di riservare una nomina al proprio avvocato).
Tornando alla questione del potere, le donne sono presidenti e non amministratrici delegate, come nota Mucchetti (“la prossima volta avanti con donne ad”).
E, ancora, nei consigli di amministrazione nominati ieri non è stata rispettata la parità di genere (si arriva al 40% alle Poste, mentre a Finmeccanica ci si attesta al 28%). Un po’ come nel governo, donne in prima fila e poi più o meno il solito squilibrio.
E, insomma, tutto ha il sapore del marketing e della mossa di comunicazione, per coprire una discontinuità molto continuista. Ancora una volta. Senza alcuna vera attenzione all’aspetto qualitativo, al merito delle questioni e delle persone. Speriamo che sia femmina, insomma, il resto seguirà.
Detto questo le donne presidenti di società quotate in borsa sono una dozzina in tutta Italia. E quello di ieri è, quindi, un segnale molto forte, per tutte le donne e per tutti gli uomini del nostro Paese. E un passo avanti verso un sistema in cui queste cose saranno normali, e si inizierà esclusivamente a parlare di merito, al di là della rappresentanza di genere.
Da ultimo, ma non certo per ultimo, fa piacere anche sapere che una proposta da me caldeggiata e promossa da un anno e passa a questa parte sia diventata la regola: il tetto del Quirinale agli stipendi dei grandi dirigenti e manager della pubblica amministrazione e delle partecipate. Sperando che sia davvero così perché alcune notizie vanno in altro senso, parlando di riduzione del 25% (che in molti casi non basterebbe).
Tra luci e ombre, quindi, sarebbe da auspicare anzitutto una maggiore trasparenza, che la direttiva Saccomanni mirerebbe a favorire ma che certamente andrebbe ulteriormente potenziata, come avevamo detto occupandoci per tempo di questa questione questa questione.
Ecco, proprio su questo, ad esempio, la riforma costituzionale di cui oggi il Senato comincerà ad occuparsi potrebbe tra l’altro intervenire, attribuendo al nuovo Senato (con poteri diversi da quelli della Camera ma ancora forte) il potere di controllo, secondo un sistema di advice and consent.
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