Io abito la possibilità, scriveva Emily Dickinson. E finalmente è uscito il libro che prima o poi qualcuno avrebbe dovuto scrivere: contro la frase (ormai) fatta per cui "non ci sono alternative". È di Salvatore Veca, lo pubblica Laterza.
Contro le necessità che non sono necessarie, contro l'esclusione di ogni possibilità, per riaffermare quel libero arbitrio (in senso collettivo) che buona parte dell'umanità sembra avere perduto: anzi, ha scelto di rinunciarvi.
Come scriveva Robert Musil (L'uomo senza qualità):
Chi voglia varcare senza inconvenienti una porta aperta deve tener presente il fatto che gli stipiti sono duri: questa massima alla quale il vecchio professore si era sempre attenuto è semplicemente un postulato del senso della realtà. Ma se il senso della realtà esiste, e nessuno può mettere in dubbio che la sua esistenza sia giustificata, allora ci dev'essere anche qualcosa che chiameremo senso della possibilità.
Negarsi la possibilità di un altro mondo, fare le cose come le abbiamo sempre fatte (le stesse cose, nello stesso modo), ribadire uno schema pur sapendolo fallimentare, insistere su percorsi sbagliati significa avere paura, annichilire le speranze. Significa rinunciare alla critica, che è quasi tutto, soprattutto quando le cose, palesemente, non funzionano. Vuol dire, alla fine, dire che la politica non serve a nulla. Tutto è già deciso, stabilito, definito. E invece le alternative servono a pensare, servono a vivere.
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