Marco Omizzolo ha scritto un pezzo bellissimo per il Manifesto, oggi. Ricorda da vicino quanto vidi e raccontai tre anni fa a Nardò. Un impegno che vale oggi e che varrà soprattutto per il 2015, soprattutto se vorremo dare un senso all’Expo e al messaggio che dovrebbe diffondere, in Italia e nel mondo.
Sono passate poche settimane dal dossier di In Migrazione «Doparsi per lavorare come schiavi», pubblicato in anteprima da il Manifesto. Braccianti indiani che in provincia di Latina sono costretti a doparsi per sopportare le fatiche psico-fisiche alle quali sono condannati da un sistema schiavistico e mafioso fondato su sfruttamento e caporalato.
Lavorare 15 ore al giorno per 3 euro l’ora e restare in silenzio. E quando il lavoro si fa impossibile, per il caldo, i ricatti del padrone, gli obblighi del caporale e la fatica che si fa insopportabile, alcuni assumono oppiacei per andare avanti.
La filiera corta del caporalato e delle agromafie è una corda al collo ai diritti di migliaia di lavoratori e alle loro famiglie. Eppure al tempo del jobs act renziano, della flessibilità, delle agromafie che dominano i mercati ortofrutticoli e spesso anche la relativa logistica, dei nuovi schiavi, italiani e migranti, che lavorano come muli per poche centinaia di euro al mese, a volte brilla inaspettata la speranza, ed ha il volto bruciato dal sole dei braccianti italiani e indiani che hanno deciso di ribellarsi. È capitato nei pressi di Sant’Isidoro, piccolissima frazione di poche centinaia di case nel Comune di Terracina, al confine con Sabaudia. Una cooperativa agricola, con centinaia di operai impiegati nella coltivazione di ortaggi, ha visto la coraggiosa ribellione di diverse decine di braccianti indiani e italiani. Non stipendiati da mesi, ormai stanchi dell’ennesima promessa mancata, hanno lasciato i campi e preteso i salari mancati.
Hardeep è uno di loro. Non riceve lo stipendio da circa tre mesi. Ottocento euro al mese con il quale mantiene se stesso e la propria famiglia in Punjab. Ha gli occhi stanchi e con orgoglio ci dice che non riesce ad andare avanti. Vuole essere pagato e più volte pronuncia la parola diritto. Il padrone paga 3,10 euro l’ora. Ne dovrebbe corrispondere 8,50. In questo caso non c’è differenza tra italiani e indiani. Il padrone voleva intanto pagarli con dei buoni pasto. Una follia. Alla fine, forse spaventato da questa nuova coscienza di classe, l’imprenditore ha deciso di corrispondere quanto dovuto con assegni circolari. Speriamo siano coperti.
Non è la prima volta che accade in provincia di Latina che alcuni braccianti indiani decidono di incrociare le braccia. È capitato già nell’estate del 2011. A ribellarsi erano quasi cinquanta lavoratori indiani che coadiuvati dalla Flai-Cgil e da Legambiente protestarono contro il padrone che da circa nove mesi non dava loro lo stipendio. La vertenza andò a buon fine, nonostante i ricatti, le minacce e le prepotenze subite. Gli indiani vinsero non solo la loro battaglia ma dimostrarono che alzare la testa contro sfruttatori e padroni conviene. Intanto è lecito parlare di una vera questione bracciantile nazionale. Sono molte le ricerche che denunciano lo sfruttamento bracciantile migrante in tutto il Paese e sempre più anche in Europa.
La Flai-CGIL con il secondo dossier Agromafie redatto dall’Osservatorio Placido Rizzotto ha fotografato lo sfruttamento lavorativo in ambito agricolo con focus analitici sugli interessi mafiosi in questo settore. Clan che fanno del traffico di esseri umani, dello sfruttamento, del caporalato, delle truffe ai braccianti e dei permessi di soggiorno falsi un business spietato. Sono 400mila i lavoratori che in Italia sono sottoposti al ricatto dei caporali e 100mila presentano forme gravi di sfruttamento paraschiavistico.
Secondo la Direzione Nazionale Antimafia il settore delle agromafie muove un giro d’affari di 12,5 miliardi di euro. Un affare che genera appetiti continui sia tra i mafiosi che tra professionisti spregiudicati che prestano i loro servizi alla causa del caporalato. 3600 organizzazioni mafiose nella UE sono dedite al business delle agromafie e si spartiscono una torta di circa 670 miliardi di euro. Le mafie e il caporalato si combattono con la denuncia e reagendo con determinazione alle loro varie forme di ricatto. I lavoratori indiani hanno dimostrato di poter combattere il padrone. La speranza oggi corre anche sulle loro gambe e speriamo conduca verso una nuova stagione di lotte, di diritti e di vittorie contro il caporalato, mafiosi e conniventi vari.
Comments (4)