Il miglior commento sulla giornata di ieri, a cura di Lucrezia Ricchiuti:

La sostituzione di Vannino Chiti e Corradino Mineo nella Commissione Affari costituzionali del Senato lascia l’amaro in bocca.

Dimostra quanto solerte è stato il presidente del gruppo Pd al Senato nel tradurre operativamente i desideri del governo. In sé, questo è un bene.

La disciplina di partito e di gruppo è importante perché gli elettori quando votano per un partito votano per una linea politica e non possono essere traditi da spaccature, contrasti correntizi, tranelli parlamentari. Verissimo.

L’altra sera però – nella riunione dell’ufficio di presidenza del gruppo del senatori Pd – ho avuto l’impressione che la disciplina di partito e di gruppo abbia assunto un senso ben diverso.

Si discuteva forse della corruzione dilagante che coinvolge purtroppo anche il nostro partito?
No.

Si parlava di mettere finalmente mano al regime della prescrizione dei reati, che consente a corrotti e mafiosi di farla franca troppe volte per il cronico blocco della giustizia italiana?
No.

Si discuteva forse dei provvedimenti di stimolo di una ripresa economica che stenta a riaffacciarsi?
No.

Si discuteva di politica estera, con i problemi energetici riflesso della crisi ucraina e dell’improvviso riaccendersi della guerra civile in Iraq?
No.

Si discuteva della modifica del Senato.

Un passaggio decisivo in un percorso riformatore avviato dal governo Renzi (cui ho votato convintamente la fiducia) ma che esige ponderazione e lungimiranza.

La revisione della Costituzione richiede due deliberazioni di ciascuna Camera, con una pausa di riflessione di tre mesi e maggioranze qualificate. Su questo – giustamente – si è detto che occorreva coinvolgere le opposizioni, persino Berlusconi, che mai ci ha usato in passato questa cortesia.

Insomma: ieri sera si prendeva in esame il dissenso di due senatori del Pd su questo tema e non sulla linea da tenere su questioni di merito e d’indirizzo politico. E si è deciso che le riforme costituzionali sono così importanti che occorre negoziare con le opposizioni ma che ai dissensi interni si debba rispondere con l’epurazione.

Nonostante il Regolamento del gruppo del Pd al Senato dica chiaramente che il gruppo stesso valorizza e rispetta il pluralismo delle posizioni. E nonostante che proprio ieri – alla Camera – vi sono stati molti ‘franchi tiratori’ nel Pd che hanno votato per la responsabilità civile dei giudici, in dissenso dal gruppo (a proposito di disciplina).

L’art. 67 della Costituzione prevede il divieto di mandato imperativo. I parlamentari rispondono del loro operato agli elettori in generale e cercano di interpretare il bene comune secondo coscienza. Non vi sono impegni contrattuali privati o di partito che possono costringerli a votare in un modo piuttosto che in un altro: la disciplina di partito è necessaria ma essa è un traguardo da raggiungere con il dibattito democratico interno al partito e al gruppo, con il confronto e l’apporto genuino dei parlamentari da tutti i territori. Intesa militarmente, la disciplina di gruppo è la morte del Parlamento libero.

Vorrei dire al nostro segretario e presidente del Consiglio che usa l’italiano bene, con tanto di allusioni a paludi e veti, che sono per la correzione del bicameralismo perfetto e contro la corruzione politica ed economica; che – ha ragione – pagare le tasse non è bello ma è ancor meno bello pagarle pure per gli evasori; che – ha ragione – in Cina dobbiamo portare quel che in Italia c’è di stupendo ma aggiungo sono contro l’importazione dalla Cina in Italia dei loro stipendi; sono per la trasparenza dei poteri e della burocrazia ma non mi sento trasparente al punto di non essere né vista né ascoltata, perché dire non significa tradire; sono quindi per una politica che si confronta e vota e non per una politica vuota di confronto; e credo infine che un partito sia una comunità di persone vive più che la personificazione di un percorso cui la comunità non partecipa.

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