Nei giorni precedenti alla manifestazione della Cgil, c’è tutto un dibattito su che cosa sia la modernità. Sotto il profilo estetico, in un clima ormai sempre più estetizzante, e sotto il profilo sostanziale.
Vi faccio alcuni esempi rispetto a questioni sulle quali mi sto interrogando.
Se sia davvero così moderno puntare a un mercato del lavoro in cui ancora una volta arriva prima la precarietà dei sussidi (parzialissimi: l’80% delle risorse come è noto sono destinate a sconti fiscali a chi il lavoro ce l’ha), in cui tutto il male proviene dalla insopportabile mediazione di contratti e sindacati, in cui si gioca al gioco della House of three cards, contratto unico (non unico), determinato alla Poletti, norme ottocentesche del tipo demansioniamo ogni volta che si può, magari controllando il più possibile il lavoratore.
Se sia davvero così moderno puntare su autostrade che si prorogano, grandi opere, riduzione al silenzio-assenso di chi si cura del paesaggio (senza offrire risorse perché i tempi possano essere rispettati da chi quel lavoro lo fa bene), fonti fossili, in una sbandierata green economy che non si vede da nessuna parte, coperta com’è da un grigio (grey?) diffuso su tutto il territorio nazionale (lo Sblocca Italia essendo monumento postumo del berlusconismo finalmente realizzato). Del resto, si sa, in Italia le opere si bloccano perché ci sono gli scavi archeologici, e perché ci sono paesaggi troppo belli: di corruzione parliamo la prossima volta, di come sono fatti i bandi pure e di come sono diretti e controllati i lavori non parliamo proprio (del resto quando tutte le Authority vengono a dirci di non fare una cosa, tipo l’articolo 5 dello Sblocca Italia, la facciamo lo stesso).
Se sia davvero così moderno passare da Mare Nostrum a Triton, che non sono la stessa cosa nel senso che il primo (fiore all’occhiello fino a pochi giorni fa di tutta la maggioranza) aveva certi compiti, mentre il secondo ne ha altri e non garantisce affatto gli interventi di cui andavamo giustamente orgogliosi. Celebriamo cose che poi chiudiamo, in sostanza, perché costano troppo, senza spiegare quanto si risparmi a fare una cosa o l’altra, per di più. E perché sono impopolari, e anche se abbiamo il 100% nei sondaggi (essendo il partito unico, con buoni rapporti con tutti o quasi) ci preoccupiamo di perdere un po’ di consenso.
Se sia davvero così moderno puntare a un sistema imballato in cui non c’è alcuna alternanza di governo, perché bisogna fare un partito talmente trasversale da contenerli tutti, i partiti, come spiega magistralmente Nadia Urbinati, oggi, su Repubblica. Più che una tenda, come è stata definita dagli strateghi renziani, un vero e proprio accampamento, in cui ci possano stare tutti, quelli che difendono l’articolo 18, quelli che lo vogliono eliminare anche con un po’ di fastidio, quelli che tengono Mare nostrum e quelli che lo vogliono superare, quelli che sono a favore del verde e quelli che tifano per il cemento. Costretti tutti a inevitabili torsioni in cui tutti sembrano dire: entro nel grande accampamento proprio in ragione del fatto che non sono d’accordo su niente di quanto si sta facendo.
Se sia davvero così moderno un sistema elettorale in cui i cittadini scelgono pochissimo, al massimo chi fa il premier, mentre i parlamentari li sceglie il premier o chi si candida a farlo. Dopo anni a dire che il Porcellum era una vergogna, non c’è male.
Se sia davvero così moderno un paese in cui si prendono in giro i consiglieri regionali – è colpa loro se tagliamo le Regioni! – e poi si fa un Senato interamente eletto dai consiglieri regionali che nominano consiglieri regionali (i cittadini stanno a guardare, come già per le mitiche province, in cui a furia di dire che i politici dovevano avere meno potere, ce l’hanno tutto quanto).
Se sia davvero così moderno il bonus bebè alle mamme (le mamme, tipo Italia anni Cinquanta, anche quelle molto benestanti), o uno sconto fiscale che supera anche il concetto di progressività (e che si fa facendo debito) o una riduzione delle tasse lineare, senza motivarla con investimenti particolari, scelte innovative, riguardo verso la qualità del lavoro (la Sabatini è vecchia, in questo senso, o è più moderna? Lo chiedo senza malizia).
Se sia davvero così moderno affidarsi a luoghi comuni, a riflessi condizionati, a slogan facilissimi o forse non sia questo un dato ormai tradizionale, dal momento che sono trent’anni che le cose, in Italia, vanno avanti così?
Ecco, sono domande, che spero ci si riesca a porre con un po’ di profondità, prendendosi il tempo giusto per valutare che cosa fare, in futuro. Perché questo non è il futuro, questo è proprio il passato. Ma il passato passato.
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