Oggi la fame che perseguita grandi parti di mondo, determina migrazioni epocali, bibliche. Il Mediterraneo ogni giorno è tomba di una disperata umanità che cerca di superare i confini visibili e invisibili che la privano del cibo quotidiano. Le madri che affidano a criminali scafisti le sorti di un bambino che forse non vedranno mai più, si separano dal proprio affettivo biologico, nella speranza che il figlio possa avere un giorno la certezza di mettere insieme il pranzo con la cena e che quel cibo che ora manca, sia finalmente condito di libertà e di democrazia.

A partire da queste dissonanze ormai intollerabili, nasce il nostro bisogno di lanciare un appello affinché l’Expo non si riduca a un’esposizione senz’anima, dove si enunciano vasti programmi e nobili intenzioni, mentre si tace sulla povertà e le ingiustizie che opprimono la vita di milioni di persone. Sono sotto gli occhi di tutti gli effetti di un sistema politico-economico che, a quasi settant’anni dalla «Dichiarazione universale dei diritti umani», non solo non ha eliminato le ingiustizie ma le ha moltiplicate, nonostante gli studi più seri e documentati dicano che il nostro pianeta avrebbe tutte le risorse per garantire a ogni persona una vita dignitosa, non solo libera dai bisogni primari, ma garantita nei suoi diritti materiali, culturali, spirituali: la casa, il lavoro, l’istruzione, la salute.

La povertà, la miseria dei disperati, non sono calamità, fatalità o un prezzo da pagare a una malintesa idea di «sviluppo». Sono invece il frutto di scelte che hanno svuotato la politica della sua anima sociale. Cioè della sua principale responsabilità – uniformandola a logiche economiche che tanto badano ad accumulare profitti quanto poco a suddividerli con un minimo senso di equità.
E da queste considerazioni che tre amici si sono ritrovati per aprire un dibattito collettivo non più moralmente rinviabile. Vorremmo insieme ad altri mettere a dimora un seme che possa crescere rigoglioso: il seme del buon senso e della dignità di ogni abitante della nostra casa comune: la terra. Vorremmo lavorare con l’energia della nostra e vostra anima, di chi ha voglia di fare un po’ di strada insieme che possa cambiare in meglio e per sempre a rendere le parole «nutrire il pianeta, energia per la vita» una realtà per tutti. A partire dai contadini, custodi fedeli dei campi coltivati, della fertilità delle zolle, migliorando i frutti, migliorando noi nel saperli ascoltare.

Questa utopica sfida ci viene da un lontano passato e occorre fare qualcosa di definitivo e importante per debellare la fame e la malnutrizione nel mondo, un’indegna vergogna che affligge più di un miliardo di umani e che non è più tollerabile. La fame non è una fatale calamità che ha colpito qualche nostro fratello per cui ci si può limitare a provare dispiacere: la fame e la malnutrizione sono anche colpa nostra e ne siamo in qualche modo responsabili perché ci sono tutte le possibilità per eliminarle e invece continuano a mietere vittime, soprattutto tra i bambini ai quali non viene nemmeno garantito il diritto fondamentale ad un accesso a un cibo buono, salutare, sufficiente, giusto. Dobbiamo cambiare: possiamo ridurre il nostro spreco quotidiano, fermarci a riflettere su quanto buttiamo via, quanta ricchezza ed energia per la vita riusciamo a volte a bruciare in un amen.

L’appello di Carlin Petrini e il pezzo di Possibile.

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