Prevedere che la legge elettorale entri in vigore solo dal 1° gennaio 2016 (sempre ammesso che sia approvata prima) non è una clausola di salvaguardia. È un rinvio.
Forse il premier ha frainteso: con la clausola di salvaguardia si intendeva salvaguardare il voto dei cittadini. Non le poltrone degli eletti (ottenute – per giunta – in base a una legge dichiarata incostituzionale).
Lo schema è sempre lo stesso: patti al vertice alle spalle dei cittadini. I primi al sicuro di posizioni acquisite (magari in un quadro politico tutto diverso e in base a norme incostituzionali), tutti presi dalle loro tattiche per la sopravvivenza, e i secondi ignorati, emarginati, allontanati dalle urne dove infatti non si recano più.
Tutto il pasticcio nasce dal fatto che prima di tutto l’attuale schema politico è fondato sul patto del Nazareno Renzi-Verdini-Berlusconi. Al di là delle estemporanee dichiarazioni del premier o qualche ministra circa il fatto che si può andare avanti da soli, non è così. E tutte le volte che il patto sembra (ma sembra soltanto eh) strapparsi ecco la ricucitura. Che di solito è la famosa toppa peggiore del buco.
Se non fosse così avremmo da tempo (da quasi un anno) una legge chiara e efficace come potrebbe essere il Mattarellum. Ci piace ricordare oggi che proprio un anno fa, il 3 dicembre 2013, presentavamo in Senato (con Felice Casson, Corradino Mineo e Andrea Pertici) i nostri ordini del giorno per il ritorno alla legge Mattarella nella sua versione per il Senato (cioè senza i listini bloccati e lo scorporo che erano un pasticcio della versione Camera), magari con il doppio turno (quello di collegio, che il Pd richiedeva da tempo e che nulla ha a che fare con il ballottaggio nazionale dell’Italicum).
La nostra proposta si basava sul fatto che sono state presentate in questa legislatura proposte di legge per recuperare il Mattarellum da quasi tutte le forze politiche diverse dal (fu) Pdl (oggi Fi e Ncd). Giachetti ne aveva fatto un ordine del giorno alla Camera, che sventuratamente Letta e Franceschini a maggio 2013 ci chiesero di non votare. E lo stesso M5S si era reso più volte disponibile a tornare a quella soluzione.
Sarebbe stato facile. E avremmo oggi una legge che davvero tutela il voto dei cittadini.
Invece si è voluta prendere la strada più lunga (a proposito di velocità) e contorta. Con una legge-rompicapo che non garantisce – ancora una volta – agli elettori di scegliere gli eletti. E che, per di più, si è voluta collegare alla riforma costituzionale, prevedendo – mentre ancora abbiamo due Camere elettive – un sistema elettorale per la sola Camera dei deputati. Ora tutti si accorgono che è assurdo e non è proprio funzionale allo scopo del turpe Italicum: assicurare ad ogni costo (e quindi anche umiliando totalmente la rappresentanza dei cittadini) la governabilità. Così, se fosse approvato l’Italicum, ma non ancora la trasformazione del Senato in una cameretta per amministratori locali in trasferta, avremmo due Camere elette in modo totalmente diverso. Con ci sarebbe la rappresentanza e neppure la governabilità. Che sia prima o dopo il 1° gennaio 2016. Ma intanto si va avanti. Di rinvio in rinvio, tornando sempre alla casella di partenza. Come in uno sfinente gioco dell’oca.
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