Gaetano Azzariti, oggi, sul Manifesto a proposito del canguro illegittimo. E speriamo che non capiti mai di andare all’opposizione, perché questo è proprio il peggiore dei precedenti:

L’approvazione dell’emendamento Espo­sito rap­pre­senta un colpo al cuore del sistema par­la­men­tare. Frutto di un esca­mo­tage pro­ce­du­rale, esprime esem­plar­mente la cul­tura machia­vel­lica di una classe poli­tica dispo­sta ad adot­tare ogni mezzo pur di con­se­guire il fine, senza pre­oc­cu­parsi delle con­se­guenze di più lungo periodo. Se si guarda alla sostanza della vicenda appare chiaro l’uso stru­men­tale delle regole par­la­men­tari. L’emendamento pro­po­sto, infatti, ha avuto come unico scopo quello di impe­dire la discus­sione e la vota­zione sulle pro­po­ste dei parlamentari.

«Blin­dando» l’accordo poli­tico defi­nito in sede extra­par­la­men­tare. È l’ultimo tas­sello di un più ampio mosaico costruito per sot­trarre ogni auto­no­mia al par­la­mento. Già erano state for­zate le ordi­na­rie pro­ce­dure di for­ma­zione della legge quando si è impo­sto alla com­mis­sione affari costi­tu­zio­nali di inter­rom­pere i pro­pri lavori prima di aver ulti­mato l’esame e prima di poter votare sul dise­gno di legge tra­smesso dalla Camera. Si è così pas­sati all’esame dell’Aula senza che fosse con­sen­tito ai sena­tori in com­mis­sione di pro­nun­ciarsi nel merito della riforma. E ciò è avve­nuto nono­stante una pre­vi­sione costi­tu­zio­nale — l’art. 72 — imponga l’adozione della pro­ce­dura “nor­male” di esame e di appro­va­zione in mate­ria elet­to­rale. In modo disin­volto, si è giu­sti­fi­cato lo strappo con­fi­dando sull’esame dell’Aula. In fondo — qual­che inge­nuo poteva rite­nere — in que­sta seconda sede non si poteva di certo sfug­gire a quanto scrive la nostra costi­tu­zione che sta­bi­li­sce che ogni dise­gno di legge deve essere appro­vato arti­colo per arti­colo e con vota­zione finale. E invece la fan­ta­sia ha supe­rato ogni osta­colo, riu­scendo a libe­rare la mag­gio­ranza di governo da ogni fasti­dioso limite d’ordine costituzionale.

L’emendamento Espo­sito ribalta la ratio della dispo­si­zione costi­tu­zio­nale e impone anzi­tutto una sorta di “vota­zione finale” per poi obbli­gare i nostri par­la­men­tari ad ade­guarsi nelle suc­ces­sive vota­zioni arti­colo per arti­colo. Con­tro ogni tec­nica di buona legi­sla­zione fa pre­met­tere alla legge una dispo­si­zione (signi­fi­ca­ti­va­mente indi­cata come art. 01) che non ha nes­sun con­te­nuto pre­cet­tivo, bensì si limita a rias­su­mere per intero i prin­cipi che devono essere con­te­nuti nelle suc­ces­sive dispo­si­zioni. Un inu­suale e inu­tile pre­am­bolo d’intenti. Si pensa così di aver tro­vato il modo per impe­dire ogni ulte­riore pos­si­bile discus­sione, vota­zione ed even­tuale appro­va­zione di arti­coli non con­formi (secondo il rego­la­mento del Senato, infatti, non sono ammessi emen­da­menti in con­tra­sto con deli­be­ra­zioni già adot­tate sull’argomento nel corso della discus­sione). Lo stra­vol­gi­mento di ogni logica par­la­men­tare appare evi­dente, l’uso stru­men­tale del rego­la­mento palese. Eppure tutto ciò sta avve­nendo sotto i nostri occhi senza scan­dalo, in nome del cam­bia­mento, sotto la pres­sione di una poli­tica con­cen­trata sul risul­tato da con­se­guire ad ogni costo. Una poli­tica miope e pericolosa.

Miope per­ché, ridotto il par­la­mento ad una sala da poker, dove vince il più abile e più spre­giu­di­cato tra i con­ten­denti, non sarà facile garan­tire la sta­bi­lità del governo. Di volta in volta il pre­si­dente del con­si­glio dovrà ricer­care una sua mag­gio­ranza, varia­bile se non pro­pria­mente occa­sio­nale: ora con la mino­ranza interna ora con frange delle oppo­si­zioni. Con ben poche garan­zie di tenuta e coe­renza dell’indirizzo poli­tico com­ples­sivo. Inol­tre, i governi a mag­gio­ranze varia­bili sono ine­so­ra­bil­mente espo­sti al potere di “ricatto” ovvero di veto degli alleati occa­sio­nali, i quali, non essendo legati alla stra­te­gia com­ples­siva dell’esecutivo, potranno legit­ti­ma­mente porre le pro­prie con­di­zioni e far valere i pro­pri inte­ressi poli­tici e per­so­nali del momento. Con­fi­dare sul fatto che tanto qual­cuno alla fine si trova per far pas­sare le pro­prie pro­po­ste, vista anche l’attuale fran­tu­ma­zione di tutte le for­ma­zioni poli­ti­che orga­niz­zate, sia di mag­gio­ranza che di oppo­si­zione, fran­ca­mente non appare una stra­te­gia lun­gi­mi­rante. Ma i gio­ca­tori di poker — si sa — con­fi­dano più sulla pro­pria abi­lità e sulla for­tuna che non sul rispetto delle regole del gioco. Ed è qui che si nasconde il peri­colo mag­giore di una simile poli­tica. Fino a quando e fino a dove può arri­vare l’interpretazione disin­volta e cinica dei rego­la­menti, delle prassi, delle leggi, della Costi­tu­zione? Lo stra­ta­gemma archi­tet­tato que­sta volta per scon­fig­gere “fre­na­tori e gufi” potrà essere ripe­tuto in futuro, altri espe­dienti potranno essere esco­gi­tati per silen­ziare il par­la­mento, le voci di oppo­si­zione, la dia­let­tica poli­tica. Ma alla fine che rimarrà del sistema parlamentare?

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti