Leggo Repubblica che riporta un virgolettato del premier: l'Italicum? «Senza fretta».

La legge elettorale, priorità delle priorità, slitta ancora. Si parla di maggio o, forse, di giugno. E pensare che la votammo a spron battuto a marzo. Dell'anno scorso.

Nel frattempo, a proposito di trasformismi, Massimo D'Alema, che aveva inizialmente salutato con favore la legge di riforma costituzionale, pare sia stato da Mattarella a illustrarne i limiti.

Ora, va bene tutto, però c'è un però: la legge di riforma costituzionale è nota da un anno. Nelle votazioni al Senato, solo una dozzina di senatori del Pd si era distinta nel voto, prendendosi contumelie dal fronte renziano e anche da quello dalemiano (Finocchiaro in primis).

Alla Camera, gli unici due voti contrari sui primi, fondamentali articoli (1 e 2) sono venuti da Luca Pastorino e dal vostro affezionatissimo, in un clima per cui nessun altro aveva proprio nulla da ridire. La nostra linea era considerata eccentrica: gli esponenti della maggioranza e della minoranza del Pd (tutti compresi, nessuno escluso) chiedevano piccole correzioni. Cose minime. L'impianto andava benissimo a tutti, tranne a quei due parlamentari così strani.

Ora pare che la riforma sia un disastro, che porti a una irreversibile trasformazione della forma di governo, senza bilanciamenti e senza garanzie e a me fa piacere che la consapevolezza in questo senso si allarghi, qualcuno dice fino a Bersani (martedì lo scopriremo). Diciamo che c'è chi ha «fretta» (e poi la trasforma) e chi ha «lentezza» (e poi la trasforma).

Meglio tardi che mai. Solo che, se andiamo avanti così, ci avviciniamo, a poco a poco, senza fretta, al mai.

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