Una collega mi scrive su Twitter per chiedermi perché la riforma costituzionale non avrà il mio voto.

Mi dispiace che non abbia visto i miei emendamenti, presentati e illustrati in aula, ma non fa niente, capisco che ci siano molte cose da fare. Immagino non abbia visto nemmeno la mia proposta di legge di riforma costituzionale, presentata prima che questa discussione iniziasse.

Fin dalla prima direzione nazionale del Pd, quando Renzi non era ancora premier (!), ho sostenuto che il Senato andasse abolito oppure conservato elettivo, perché avesse funzioni e vocazione chiare (che non ha più). Che non ha senso affidarlo a consiglieri regionali part-time. Che non ha senso ridurre la rappresentanza e che se si intendeva ridurre il numero dei parlamentari, si poteva farlo anche alla Camera. Che se si vogliono ridurre i costi della politica, il Pd potrebbe rinunciare ai finanziameni che richiede ai propri parlamentari, rivedere la diaria e affidare tutte le spese che i parlamentari gestiscono direttamente ai servizi della Camera, così da ridurre quasi della metà la nostra indennità. Che la retromarcia sul Titolo V è troppo centralistica e mortifica le autonomie (vedi anche alla voce province, peraltro). Che la legge elettorale, che la collega ha votato anche quando era tutta ed esclusivamente di liste bloccate, con soglie anti-democratiche e un premio eccessivo, è un sistema che non mi convince, perché non è maggioritario e non è nemmeno quel doppio turno di collegio che invece a me piace molto (il doppio turno nazionale è tutt’altra cosa). Che non è una riforma, ma un’evoluzione del Porcellum. Che in generale mi sembrano sbaragliate le garanzie, i controlli, gli equilibri.

Spero che basti. No, anzi, non basta: perché la Costituzione è stata votata da una risicatissima maggioranza, nel corso di una seduta fiume che non ha precedenti nella storia repubblicana. E non vi ho partecipato, dichiarando il mio disagio in aula.

Queste cose le dico da un anno, ho fatto proposte in ogni sede, sia politica sia istituzionale. Ho presentato testi di legge, discusso in convegni, seguito la riforma al Senato, dove Chiti e Tocci hanno sostenuto tesi analoghe alle mie, senza trovare ascolto.

Per evitare fraintendimenti, però, regalerò alla collega anche Appartiene al popolo, così troverà anche un progetto alternativo, curato da Andrea Pertici e da me. Che riguarda anche i referendum e le leggi di iniziativa popolare, di cui questo Parlamento non si cura abbastanza, per non dire affatto. Un testo che presenta scelte non benaltriste, ma tuttaltriste, puntando sulla rappresentanza, l’inclusione e l’uguaglianza, che sole possono assicurare la mitica governabilità, a cui ci siamo tutti votati. Tranne il vostro affezionatissimo, evidentemente.

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