Ci sono nuovi tipi di trasformismo: ad esempio, quello delle primarie. Tipo quelle di Agrigento, dove partecipa un esponente di Forza Italia, si fanno le primarie, le vince l’esponente di Forza Italia, poi ci si accorge che è un po’ grossa e senza addurre motivazioni plausibili si spiega che sarebbe meglio non tenere conto delle primarie e del loro risultato.
Poi c’è il trasformismo della Severino: a volta vale, a volte no. A volte è superata dal voto degli elettori. Ad esempio, tutti gli elettori delle primarie campane sapevano che De Luca aveva un problema a riguardo, se lo hanno votato lo stesso il problema è superato. D’altra parte, c’è anche un trasformismo in questa stessa lettura trasformistica: se infatti De Luca si ritirasse, sarebbe meglio. Sappiamo tutti che, del resto, questa è la richiesta che si fa a Mirello Crisafulli. Definito «impresentabile» per le elezioni del 2013, eletto segretario provinciale l’anno dopo, non è che ora vuole candidarsi sindaco?
Collegato al trasformismo della Severino, c’è quello delle garanzie: a volte valgono, a volte no. A seconda. A volte ci si indigna per un problema politico-giudiziario, a volte per lo stesso problema ci si offende.
Ancora, questa settimana è riemerso il trasformismo del mandato elettorale: se un parlamentare cambia gruppo per entrare nel Pd, va benissimo, e che scherzi? Se invece qualcuno molla il carro del vincitore, tutti a chiedergli che se ne torni a casa. Che detto da una maggioranza che vive di scissioni (Alfano) e di transfughi (Verdini) è forte, se ci pensate.
Poi c’è il trasformismo delle regole: tradire il programma elettorale, che iniziava con una tirata contro l’uomo solo al comando, non conta un fico secco. Ma votare in modo diverso sulla legge elettorale, ti pone fuori dal gruppo, così dichiara il presidente del partito, voce della maggioranza (del resto, al presidente di garanzia abbiamo rinunciato da tempo). Peraltro, il presidente del partito faceva parte della maggioranza anche prima, ha perso il Congresso ma dopo pochi giorni è tornato in maggoranza. Quella nuova. Trasformismo delle correnti.
In ultimo, c’è il trasformismo delle riforme: l’epocale riforma della Rai si traduce in un ritocco. Quella della scuola in un pasticcio o in un ricatto per i precari.
Domani pomeriggio ne parliamo a Milano: chissà che nella notte non nasca (e si traformi) un nuovo trasformismo.
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