Come sapete, il termine non mi piace, mi è stato spesso attribuito, ma non mi pare che sia la definizione corretta di quello che può accadere. Anzi, di quello che sta già accadendo.
Nel senso che di «scissioni», se le vogliamo chiamare così, ce ne sono già state almeno due, a sinistra. Molto recentemente.
Nel 2013, quando possiamo dire che quasi un terzo degli elettori storicamente di centrosinistra ha votato per il M5s.
E negli ultimi due anni con i molti elettori che dichiarano di non voler votare più, in attesa che magari arrivi qualcosa di diverso a sinistra. Qualcosa di sinistra, un minimo, diciamo.
Le larghe intese, prima, e un certo piglio dell’attuale governo hanno reso più labile il confine tra gli schieramenti, il tratto distintivo di una parte rispetto all’altra, le differenti visioni politiche che dovrebbero ispirare i due blocchi. Che potremmo dire non ci sono più, ma si sono appallottolati al centro della scena.
A ciò si aggiunge che alcune categorie che spesso si attribuiscono alla sinistra, come gli insegnanti e i loro rappresentanti, sono state attaccate violentemente dal premier, che ha detto di loro: «fanno ridere».
Ecco, mi chiedo se uno che fa ridere così, secondo il Pd, poi alle elezioni voterà il Pd. Forse sta a casa, forse vota dell’altro. Così capita alle forze del lavoro e agli ambientalisti, colpiti da Poletti e dallo Sblocca Italia.
Ecco, quello che succederà nei prossimi giorni è solo l’epifenomeno di una sostanza ahinoi molto più radicale e profonda. Strano che non intenda raccontarlo quasi nessuno. Però è accaduto già.
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