E così dopo anni di meno peggio, nasi turati, voto utile, sondaggi usati strumentalmente, regole aggirate, deroghe e proroghe, siamo arrivati alla pessima situazione per cui metà dei cittadini pensano che non sia nemmeno il caso di votare più.
Immaginate la foto di una città, con metà delle case in bianco e nero, le altre diversamente colorate: in una casa su due, la domenica non si andrà a votare.
Poi certo qualcuno vincerà, a un costo altissimo: quello di rappresentare la metà della metà o ancora meno, perché l’idea è quella di usare ogni volta che si può un premio di maggioranza che consenta di ‘vincere’ anche solo con il sostegno di un quinto, un sesto, un decimo dei cittadini.
Sono soprattutto coloro che non si sentono rappresentati dal punto di vista sociale, che si sentono marginalizzati, dimenticati, a non votare più.
E così disuguaglianza e astensione si rincorrono, in un circolo vizioso che porta moltissimi a una sorta di “servitù volontaria”, in cui non prendono nemmeno più parola, ma si tengono fuori. Perché lo sono già.
Definire questa questione come un fatto secondario (cit.) ci conduce a un impoverimento di tutte e di tutti.
Questa per me è la priorità politica fondamentale.
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