Per me Enrico Deaglio ha scritto il libro del 2015.
Un’inchiesta (molto) a posteriori su navi piene di emigranti, il razzismo, la pelle chiara ma anche un po’ scura, la schiavitù, la violenza, l’indifferenza dei governi, la distanza geografica e politica. E una poverta totale, senza scampo né vie di fuga.
E insieme una storia che parla di quanto accade oggi, sui barconi o sui binari della stazione centrale di Milano.
Oggi come allora c’è qualcuno che si indigna, ma i più speculano senza dare risposte e offrire soluzioni. Oggi si invoca l’Onu (sono anni che si sarebbe dovuto coinvolgere proprio l’Onu e fare un corridoio umanitario e concepire la questione lampedusana come questione planetaria, ma cosa volete che sia), allora si invocava il Re o la presidenza degli Stati Uniti d’America.
I protagonisti della storia vera e terribile di Deaglio non arrivano in Sicilia, dalla Sicilia scappano. Caldamente invitati a farlo dalla povertà ma anche (e perciò) dai governi di allora.
Vanno in Louisiana e scoprono di non essere bianchi, di dover sostituire gli schiavi appena liberati (ma non nella sostanza e nella pienezza dei diritti) e appena si ‘radicano’ finiscono male. Non metaforicamente, ma sulla base di una efferata speculazione politica, che mira a conservare gli equilibri e che si serve degli ultimi purché rimangano tali.
Da Cefalù a Tallulah, accompagnati (o forse, meglio, inseguiti) da Lombroso, da una certa omertà delle istituzioni e dalla parola che si affermò proprio allora: mafia.
Abbandonati da tutti. Al loro vero e terribile destino.
Una lettura che vi consiglio. Un giallo a ritroso. Così lontano, così vicino.
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