Andrea Pertici parla del ritorno del Senato, ovvero della riforma che lo riguarda:
C’è attesa per la ripartenza della riforma costituzionale, fissata per martedì 7 luglio in Commissione affari costituzionali del Senato.
Si tratta della seconda volta in cui la “Camera alta” deve affrontare l’esame del testo. La Camera ha modificato lo scorso inverno (nottetempo) ciò che il Senato aveva deliberato la scorsa estate. Adesso non si sa se ci saranno ulteriori cambiamenti.
Il punto centrale è sempre lo stesso: la composizione del Senato. Per un motivo molto semplice: la riforma – sin dal suo annuncio (ben precedente, come sempre, alla scrittura) – è stata basata su quello. Un Senato di non eletti non pagati. Cosa questo Senato dovesse fare e come – di conseguenza (vorrebbe la logica) – dovesse essere composto è sempre stato considerato un problema secondario, tanto che sono state cambiate almeno tre versioni e ne continuano a circolare a bizzeffe. Anche delle più fantasiose, come spiega anche stamani Marco Travaglio.
L’”ultima mediazione” – sembra – sarebbe quella di pescare i senatori ancora tra i consiglieri regionali, ma facendoli scegliere direttamente ai cittadini con un voto a parte. Tutto è nebuloso e apre una molteplicità di scenari tutti poco rassicuranti, senza considerare che – se non si intende eliminarli – in Senato, secondo l’attuale testo, dovrebbero sedere anche ventuno sindaci, che è ancora più difficile comprendere come verrebbero individuati.
Ma soprattutto non si capisce – ancora una volta (ed è una cosa alla quale non riusciamo ad abituarci) – quale sarebbe l’obiettivo della riforma. Perché se questa è la riduzione dei costi della politica, il semplice taglio di un quarto di deputati e senatori e di un terzo delle loro indennità dimezzerebbe il costo degli eletti, mantenendo il sistema più equilibrato e i cittadini liberi di scegliere i propri rappresentanti (magari in base a un’adeguata legge elettorale). E questa sarebbe stata una riforma molto semplice e di buon senso, oltre che – stando alle dichiarazioni di tutti dalla campagna elettorale in poi – approvabile in quattro e quattr’otto.
Se poi, ci fosse stata l’esigenza di rappresentare anche gli enti territoriali – o meglio le Regioni (uniche con competenze legislative) – premesso che l’Italia non è uno Stato federale e che quindi non convincono i richiami al Bundesrat (che comunque rappresenta una soluzione razionale, nel contesto di quella forma di Stato, a differenza di quella adottata dalla riforma in discussione), una soluzione poteva essere ripresa dalla Costituente, dove la Commissione dei settantacinque aveva proposto un Senato misto, come – nella logica di una mediazione (ma sensata) – avevamo fatto anche noi, con una proposta di revisione costituzionale, che trovate qui.
Il problema è che, senza avere chiaro uno scopo, le riforme sono state scritte male e ogni successivo tentativo di correzione rischia di venire altrettanto male.
Solo il coraggio di cambiare completamente impostazione, pensando non a svilire sempre più il ruolo dei cittadini, ma a valorizzarlo, riducendo la distanza da un ceto politico sempre più autoreferenziale, consentirebbe una riforma seria e forse davvero utile. Ma da questo sembra che siamo ancora veramente molto lontani.
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