Andrea Pertici riprende quanto dichiarato da Romano Prodi:
Per Romano Prodi (oggi su Repubblica, pagina 15) la seconda parte della Costituzione “non ha funzionato bene”. Però bisogna evitare di metterci mano “in modo sguaiato e scoordinato”.
È così. È quello che sosteniamo da mesi: che una riforma serve, che però quella in corso di approvazione non è quella giusta e che probabilmente questo non è il momento giusto per farla, perché – come dice ancora Prodi – pare che “non sia il momento delle riflessioni serene”, proprio come non lo sono stati i due precedenti in cui sono state approvate le riforme costituzionali del 2001 e del 2006, che infatti non hanno funzionato (la prima) o sono state addirittura bocciate dagli elettori (la seconda).
Chissà se dopo queste dichiarazioni del fondatore dell’Ulivo troveremo ancora appassionati analisti e solerti senatori pronti a sostenere che le riforme di questo governo sono quelle dell’Ulivo.
La tesi 4 dell’Ulivo, che da qualche settimana sembra avere un successo postumo insperato (visto che non fu seguita esattamente neppure dalla Bicamerale), ha ben poco a che fare con la riforma costituzionale in corso di approvazione, proprio a partire dalle prime righe in cui il “cambiamento della struttura del Parlamento” è considerato la conseguenza della “realizzazione di un sistema di ispirazione federale”.
Questa nuova forma di Stato avrebbe portato a una “Camera delle Regioni” con competenza per le “sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali”.
Ora, è evidente che tutto questo disegna uno Stato lontanissimo da quello che risulterebbe dalla riforma costituzionale in discussione, la quale – come noto – diminuisce il ruolo delle autonomie e in particolare le funzioni legislative delle Regioni. E disegna una Camera non “delle Regioni” ma “rappresentativa delle istituzioni territoriali”, in cui siedono anzitutto ventuno sindaci, caso unico in Europa e forse nel mondo, e addirittura fino a cinque senatori di nomina presidenziale ai quali – secondo quanto risulta dal medesimo testo – nessuna funzione di rappresentanza delle istituzioni territoriali è – né poteva essere – attribuita.
Senza considerare che le modalità di selezione dei consiglieri regionali non garantiscono in alcun modo una loro rappresentanza istituzionale e sembrano piuttosto destinati a riprodurre una rappresentanza politica, essendo scelti dai partiti e per i partiti, senza dover affrontare il voto popolare, che a volte è più difficile da “pianificare” rispetto a quello del ceto politico, dando così luogo a quella spartizione già vista per le province dopo che queste – lungi dall’essere eliminate – sono state sottratte al voto popolare e affidate a quello dei consiglieri comunali.
Senza considerare, infine, che il nuovo Senato non si occuperebbe delle “sole leggi che interessano le Regioni, oltre alle leggi costituzionali”, ma anche di altre che poco e nulla hanno a che fare con le autonomie, come, ad esempio, quelle relative ai referendum (che – detto per inciso – la campagna di raccolta delle firme in corso conferma quanto avrebbero bisogno di essere riformate).
Insomma, al di là di qualunque valutazione sulle proposte dell’Ulivo, una cosa è certa: queste avevano una loro coerenza complessiva, che quelle in corso proprio non hanno. E infatti le due proposte hanno ben poco in comune.
Basta leggere (magari con un po’ di attenzione).
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