Qui trovate tutte le risposte a molta disinformazione che circola sul web (e non solo) che ovviamente qualcuno si sta molto dedicando a fornire.
A questo posso aggiungere – l’ho già fatto millemila volte – che la prima volta che abbiamo parlato dei referendum è stato il 13 maggio, in occasione di un convegno promosso in Senato, alla presenza dei parlamentari di tutti i gruppi all’opposizione. Si parlò allora del referendum sull’Italicum, in particolare, perché erano i giorni nei quali la legge era appena stata votata con la fiducia multipla alla Camera.
Poi posso dirvi che i quesiti sulle trivelle, ad esempio, sono identici a quelli che molti chiedono che siano presentati dalle Regioni, attraverso i loro consigli regionali.
Poi posso rispondere che la ragione per la quale è possibile presentare un quesito sull’intero Italicum è data dal fatto che la legge entra in vigore a luglio 2016, come forse sapete.
Poi posso aggiungere che è la legislazione a prevedere la data del 30 settembre: non ce la siamo inventata noi, insomma. E altri, giusto lo scorso anno, presentarono quesiti referendari d’estate: e magari sono gli stessi che oggi dicono di non capire come mai abbiamo scelto di raccogliere le firme in questo periodo. La ragione è semplice: se si rispetta quella scadenza, si possono votare i referendum nel 2016, altrimenti si scivola all’anno successivo.
Poi posso ricordare che il quesito sulla scuola, contestato da alcuni, è ritenuto insufficiente da altri, che ne volevano ancora di più, tanto che si sta svolgendo in parallelo una raccolta per l’abrogazione totale della legge: avrei voluto indire un referendum sui referendum, ma era ovviamente complicato.
Il resto lo trovate al link che ho indicato qui sopra.
Resta una domanda, che questa volta vorremmo fare noi: ma tutti quelli che dicono che questo governo deve andare a casa, che ha tradito le promesse elettorali, che non sta né in cielo né in terra perché è stato costruito sulla base di un’alleanza ogm (che doveva durare solo fino al 2015, ma poi è stato prolungata sine die); tutti quelli che hanno votato contro in aula, che si sono dissociati dal loro gruppo se stavano in maggioranza o se hanno gridato allo scandalo se si trovavano all’opposizione; tutti quelli che parlano di un pericolo per il Paese, per i diritti delle persone e dei lavoratori; ecco: perché non firmano? O, quantomeno, perché non evitano di scrivere cose sbagliate, tendenziose e totalmente prive di fondamento?
Fin dall’inizio ho chiesto a tutti di condividere i referendum. Alcuni soggetti lo hanno voluto fare – come Green Italia e Azione civile e tante altre sigle diffuse in tutto il territorio nazionale. Altri, nonostante fossi andato a trovarli in ufficio (più di una volta) e a volte fino a casa loro (non metaforicamente), hanno preferito non partecipare, non sostenere, non firmare. Sia chiaro: è legittimo. L’anno scorso si promossero i quesiti sul fiscal compact, a luglio. Quest’anno, su temi attuali e dolorosi, si è presa un’altra decisione. Però non si dica – per favore – che lo spirito non fosse quello di dividersi oneri e onori. Perché i referendum non sono di nessuno, ma dei cittadini che li firmano. E vale anche per chi sta promuovendo e facendo la raccolta.
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