Leggo una dichiarazione di Roberto Speranza che sostiene che chi esce dal Pd contribuisce a trasformarlo in partito della nazione.
Non voglio polemizzare ma il processo è stato inverso.
Il premier ha deciso di sostituire Letta con il voto di quasi tutti per prolungare le larghe intese fino a fine legislatura e trasformarle in un fatto ovviamente politico.
Ha escluso le voci a sinistra e di sinistra su tutti i principali provvedimenti, andando in direzione diversa e a volte contraria al programma elettorale con il quale noi (e non lui) siamo stati eletti.
Ha flirtato con Verdini da sempre, prima come tramite con Berlusconi poi come prestito politico per approvare i provvedimenti a rischio maggioranza.
Ha di fatto autorizzato qualsiasi trasformismo politico, in aula e fuori, umiliando le minoranze – su questo punto allarmate – in più occasioni.
Quale responsabilità possono avere i cinque-sei parlamentari che sono usciti dal gruppo Pd? Il partito della nazione viene prima, da tutti i punti di vista, sia per i numeri, sia per le scelte che hanno portato a immaginarlo e a realizzarlo nei fatti. E le politiche del governo sulla casa e sul l’evasione lo confermano: non sul piano personale, sul piano politicissimo di una trasformazione che supera destra e sinistra e le confonde irreversibilmente, tanto da far sembrare la giusta richiesta di Speranza di una svolta a sinistra come una vera illusione.
È una scelta politica, quella del PdR che si rivolge alla nazione negandone le articolazioni politiche e sociali – un partito del leader di cui parlai per primo nel gennaio del 2014 – che non ha alcuna giustificazione esterna, né alibi: una determinazione che ha avuto conseguenze sostenute da tutto il partito, salvo pochissime e, sotto questo profilo, irrilevanti eccezioni.
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