Leggo che il segretario del Pd non vuole nemmeno incontrare il sindaco iscritto al Pd di Roma, che poi sarebbe anche la capitale.
Leggo che i dirigenti del Pd che lo hanno commissariato sotto il profilo politico e istituzionale (caso unico nella storia della Repubblica) parlano di lui come di un traditore.
Leggo che Marino vuole chiedere conto di quanto è successo e nessuno se lo fila. Vuole ricostruire quanto è successo, da quando il Pd iniziò ad attaccarlo, ed era prima dell'esplosione di «mafia capitale», per intenderci.
Leggo che il Pd è alla ricerca di un candidato sindaco da mesi, nonostante Marino fosse in carica (fino a prova contraria, puntualmente giunta alla giunta nei giorni scorsi).
Arrivati a questo punto, è impensabile che Marino possa contare sull'appoggio del Pd – oggi e domani e anche ieri – e quando dice che sta pensando di partecipare alle primarie del Pd (primarie, quali primarie?) il cortocircuito è completo.
Peraltro è anche difficile credere che ci siano più Pd, a Roma, perché la linea Renzi-Orfini-Barca è inequivocabile. Quello è il Pd. Quello che ha mollato Marino, ben prima degli scontrini e degli errori che lo stesso sindaco ammette di avere compiuto (sotto il profilo politico, non giudiziario: quello riguarda ahinoi tanti altri esponenti della politica romana).
Invece di aspettare il segretario in aeroporto, come scrive non senza malizia oggi Repubblica, si consiglia vivamente di immaginare che a Roma si può fare altro. Con altre persone. Con una proposta che parta dalla città e dai romani. Con persone al di sopra di ogni sospetto e fuori da ogni consorteria, che diano vita fin d'ora non a un governo ombra, a un governo che faccia luce su ciò che non va e su ciò che si potrebbe fare.
Walter Tocci, per fare un esempio, che si 'ostina' a restare nel Pd (che a Roma è ancora più forte, come cosa), ha scritto pagine illuminanti, per rimanere in metafora, e ha aperto la strada a qualcosa di diverso. Tocca alle romane e ai romani immaginare un futuro diverso.
Nella speranza che al più presto sia restituita la parola agli elettori, anche perché l'argomento «se si va a votare, vincono gli altri» è un'ovvietà: al fallimento degli uni, di solito, aumentano le possibilità per gli altri. E non votare più non è una soluzione. L'importante è capire chi sono gli altri e provare a esserlo. Altri. E compatti nel sostenere un progetto di cambiamento complesso che qualcuno ha voluto interrompere. A prescindere, come dice il segretario oltreoceanico.
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