Luigi Corvo spiega perché è meglio non polettizzarsi:

Non mi rivolgo ai Ministri, tipo Poletti, né ha senso replicare alle varie dichiarazioni di troppi esponenti di Governo degli ultimi anni, che tanto non hanno orecchie per ascoltare e forse neanche cervello per intendere.

Mi voglio rivolgere agli studenti universitari, a quelli che leggendo quella frase si sono sentiti tirati in ballo da chi non ha la minima cognizione della loro condizione e non conosce come funziona oggi l’università.

Ragazzi, ragazze, non ci badate, fregatevene. Non ce la fanno, non capiscono, non si rendono conto che dovrebbero iniziare ogni loro discorso chiedendovi scusa.

Non si sa da dove gli possano venir fuori certe banalità, non hanno idea degli sforzi che fanno le vostre famiglie per sostenervi negli studi e pensano che sia una vostra scelta quella di starvene “parcheggiati” (che termine odioso) oltre gli anni curriculari canonici. Mica pensano che siete costretti a fare mille master perché il lavoro che vi si offre è spesso gratuito, sottopagato e in alcuni casi umiliante? No, non ci pensano, ma vi chiedono di correre, di andare veloci, di “bruciare il tempo”, di esser pronti a 21 anni per poter iniziare a lavorare da subito.

E mentre chiedono ciò, dando per spacciati quelli che vanno “fuori tempo”, costruiscono un sistema universitario demenziale, dove chi vi scrive, per far carriera, dovrebbe starsene chiuso nel suo ufficio a scrivere paper, monografie, articoli per fantomatici ranking internazionali e raggiungere un impact factor del tutto artificiale.

Se vado in fascia “a” di qualche rivista divento ordinario, se facciamo insieme progetti per stimolare la vostra creatività, il vostro spirito critico, la vostra voglia di entrare nel mondo non come soldatini ma come attori del cambiamento, rimango un precario.

Non capiscono che il primo e vero impact factor siete voi, che la domanda che ci ponete non è il voto, ma strumenti per ribaltare il concetto di diritto allo studio: il diritto alle consenguenze sociali dello studio, il diritto a mettere alla prova le idee e le competenze per costruire un mondo migliore di quello che avete ereditato.

Beh allora non saranno i Ministri, i Poletti, a spiegarci il concetto di tempo, perché secondo me quello che dobbiamo fare insieme è esattamente il contrario di “bruciare il tempo”, dobbiamo trasformare l’università nel luogo in cui si pensa e si costruisce un nuovo ecosistema sociale, dobbiamo legare a ciò non la richiesta di un posto di lavoro, ma la necessità di una nuova concezione del lavoro. E dobbiamo riportare le università a contatto con il territorio, farle dialogare con i bisogni economici, civici, culturali.

Perché le Università hanno un millennio di storia in più rispetto ai ministeri e hanno segnato la migliore stagione che l’Italia abbia mai conosciuto.

Abbiamo davanti un Paese che non genera più valore aggiunto, un mondo che è alle prese con un cambiamento epocale, un sistema economico che sta mutando nella sua essenza e la sfida di questa generazione non è quella di correre per fare presto e sistemarsi, ma quella di riprendersi in mano il destino, di riappropriarsi del controllo delle variabili della vita collettiva.

Perché, statene certi, se non lo farete voi nelle aule universitarie, certamente non lo faranno in qualche ufficio ministeriale.

E approfittate di questi anni per costruire comunità, per non rimanere soli e isolati, perché la rete, le relazioni vere e lo spirito collaborativo di questi anni sono il vero valore che ci può far costruire un nuovo mondo.

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