Mi auguro che questo post riepilogativo consenta di chiarire alcuni equivoci che circolano da mesi.
Mentre altri legittimamente discutono da tempo circa i propri rapporti con il Pd (si veda il Manifesto di oggi e le cronache dei giornali milanesi e romani e non solo) personalmente mi sono sempre espresso per una soluzione molto semplice: se non stai con il Pd, non stai con il Pd. Se ne rifiuti le politiche degli ultimi anni, se voterai contro in occasione del referendum sulla Costituzione che, in virtù di una cultura repubblicana che fa spavento, il premier sta trasformando in un plebiscito tipo il peggior de Gaulle, se pensi che le soluzioni individuate finora e le persone scelte per governarle siano in alcuni casi sbagliate in altri pessime allora non ti allei per sostenerle.
Capisco che sia doloroso (sono stato oggetto di attacchi molto violenti, negli scorsi anni, in proposito) ma a un certo punto devi decidere di «uscire dal Pd», che nel frattempo si è trasformato in qualcosa di molto diverso, ha freddato Marino nel romanzo capitale, ha allargato a Ncd un po’ dappertutto (dalla Sicilia risalendo la Penisola), fa primarie a cui possono partecipare anche esponenti che non sono di centrosinistra (tanto cosa volete che sia), discute con Tosi di eventuali scenari locali e nazionali, ha prorogato le larghe intese sine die affidandosi al sostegno (decisivo) di parlamentari che erano più berlusconiani di Berlusconi, trasformando il tutto in una fantastica operazione politica, rispetto alla quale Bersani sembra uno del Chiapas.
Quindi, primo punto: autonomia. E libertà dai condizionamenti. «Non per il potere» diceva Langer.
In secondo luogo, chiarito questo primo punto, c’è la questione dell’unità di tutte le forze che condividono il giudizio di cui sopra. Un’unità che abbiamo sempre ricercato, fin da quando abbiamo invitato tutti a partecipare a uno schema che partisse – guarda caso – dalle comunità locali, dove collaborare e costruire militanza e quindi anche quelli che una volta si chiamavano dirigenti politici. Dirigenti politici di nuovo segno, però, interessati soprattutto alla questione della sovranità e della rappresentanza.
Non rassemblement di parlamentari o di dirigenti vecchi e nuovi, ma un processo completamente diverso. Che muovesse da battaglie da vivere fuori dal Palazzo, come abbiamo provato a fare con i referendum: un vero peccato non avere raccolto le firme nel 2015 per ripresentare i quesiti nel 2016, magari gli stessi quesiti. Quest’anno i cittadini italiani avrebbero potuto votare, non solo il plebiscito renziano, ma questioni fondamentali, presenti nei programmi elettorali di chi governa e puntualmente tradite nell’azione di governo.
Quindi, oltre all’autonomia, l’unità. Ma non l’unità con il Pd (per capirci), né l’unità solo di chi è già nel circuito della politica. La formula di Possibile ha promesso e sta cercando di realizzare un lavoro civico, città per città, paese per paese, in cui la politica riconosca la propria parzialità. Liste di senso civico e politico, fondate su principi chiari e condivisi, e un lavoro appassionante. In cui non siano importanti le targhe, le sigle, i simboli, ma il concetto (e il cuore e le gambe) di chi partecipa. Senza attendere le primarie degli altri, ma avviando consultazioni proprie. Senza aspettare che prevalga questa o quella corrente, senza cercare di capire se la propria città fa parte dell’accordo con il Pd oppure no.
Città in comune, insomma.
Seguite Roma, Milano, ma anche Ravenna e Crotone. E presto Trieste. Vedrete un esperimento nuovo, a cui partecipano tutti coloro che sono convinti e sereni, ma se lo dicono da soli, diciamo così.
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