Ha ragione Luca Sofri. C'è un piccolo problema di concentrazione e, conseguentemente, di pluralismo, intorno alle vicende del sistema editoriale italiano.

Per Berlusconi, ci si strappava le vesti, ma ora non è più di moda. Anzi. Sul caso Mondazzoli, in Parlamento è regnato il silenzio. Sul caso Stampubblica non è intervenuto praticamente nessun esponente del magico mondo della politica (forse perché legato a doppio filo a quello del giornalismo, in quello che si suole definire circuito politico-mediatico).

Non che Repubblica fosse più quel giornale liberal e critico del sistema, non che le direzioni non si fossero già scambiate più volte, non che la linea editoriale di questa o quella testata fosse così lontana. Però colpisce che mentre il Corriere festeggia i 140 anni e Repubblica ne abbia appena festeggiati cento di meno, tutti si dichiarino ovviamente d'accordo con questa sorta di Italicum dell'informazione, di giornale unico, di quotidiano della nazione.

Insomma, l'Italia si avvia su una linea – secondo me molto pericolosa, e non è certo questione né di gufismo né di sinistrismo – per la quale ci si appallottola tutti nel sistema ovvero contro il sistema, in una riformulazione definitiva della dialettica politica e del dibattito pubblico. Che inevitabilmente conduce al conformismo, anche se nessuno – per carità – se lo augura. In cui il conflitto si annulla nella riductio ad unum o, necessariamente, si strappa, in contrapposizioni da tifosi, che spiegano sempre meno ai cittadini come stanno le cose. E diminuisce, in ogni caso, la libertà, di informazione e di dibattito.

Negarlo è ridicolo. Se ci fosse ancora qualche liberale (vero, non sedicente) forse si aggiungerebbe a queste riflessioni. Che invece in questo Paese, et pour cause, si faranno sempre meno.

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