Oggi sul Corriere Dario Di Vico rilancia sul tema delle disuguaglianze, con un articolo prezioso.
Il tema sembra essere diventato finalmente “di moda”: la questione delle disparità, la polarizzazione della società, la mancata redistribuzione – sempre più indebolita negli ultimi anni da scelte precise – da qualche giorno campeggiano sulle prime pagine dei giornali. A me fa molto piacere. Anche perché sono anni – e non fanno certo eccezione gli 80 euro e l’abolizione della tassa sulla casa per tutti, anche per quelli che stanno benissimo, e la legislazione sul lavoro – si è andati allegramente in una direzione diversa. Opposta.
C’è molto, quasi tutto da fare, per reintrodurre nel dibattito politico e nelle iniziative legislative la costituzionalissima progressività, il sostegno alla povertà e l’accesso ai servizi e ai beni essenziali (casa, acqua e energia, in primo luogo), il diritto a una giusta retribuzione (altro che voucher), la possibilità di sbloccare l’ascensore sociale con investimenti nella scuola e dell’università, l’urgenza di un nuovo welfare che possa accompagnare i più deboli (e quindi tutti quanti) nel corso di una trasformazione notevole del lavoro e della produzione (vedi alla voce innovazione tecnologica che comporta un ripensamento della quantità e della qualità del lavoro possibile e disponibile).
Con le ricette degli anni Ottanta e con le scelte minime in campo europeo, non si va da nessuna parte: poi uno si chiede perché c’è una pulsione ad andarsene e/o a chiudersi come sta accadendo (non solo) in Gran Bretagna. Per rispondere al Brexit (che mi auguro non ci sarà, ma lascerà comunque un grande paese diviso in due) si sarebbe dovuto rilanciare sulla politica e sull’economia europea proprio nella chiave della riduzione delle disuguaglianze e della tutela degli esclusi, ma ancora una volta – incredibilmente – non lo si è voluto fare. E la minaccia di Junker («chi è fuori è fuori») suona sinistra per una ragione molto semplice: che «chi è fuori», chi non ha nulla o molto poco, è già «fuori» ed è ovvio che cerchi una scorciatoia per stare meglio. E lo faccia prendendosela con il sistema e – come se fosse la stessa cosa – con chi ha meno di lui.
Di questo, specialmente di questo, la politica dovrebbe parlare. Con una strategia di lungo corso, non certo con le mosse e gli spot del giorno per giorno.
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