Non è solo questione di Ponte sullo Stretto (che adesso si fa, prima non andava fatto), di tasse sulla casa (tolte anche a chi le può pagare, dopo aver detto che non era proprio il caso), di soglia del contante (alzata come volevano quegli altri, dopo aver difeso scelte opposte), di articoli 18 e non solo (prima difesi, poi banalizzati infine eliminati), è una questione politica generale.

Il cambiare idea è segno di intelligenza, dice un detto. Il problema è che qui siamo di fronte a un atteggiamento ripetuto, incessante, seriale.

Le idee si cambiano sempre (se uno le cambia ogni volta significa forse che è intelligentissimo?) e – devo dire – poi si cambiano anche le idee già cambiate, come stiamo osservando con la legge elettorale.

E le idee si sostituiscono con quelle altrui, di chi rappresentava e rappresenta lo schieramento un tempo avverso e ora "cambiaverso". Perché puntualmente capita che sia il fu-centrosinistra a fare le cose che era la destra a proporre, mai il contrario.

Ciò non c'entra direttamente con la legge di revisione costituzionale, ma c'entra.

Perché tutti per esempio giurano che il Parlamento sarà più forte di prima, con una Camera sola (che però non sarà sola) e un governo che non assume direttamente una supremazia sul Parlamento, come avrebbe voluto Berlusconi (solo che ciò che non fa la legge costituzionale, in questo caso, lo fa la legge elettorale, cambiando indirettamente ruolo e funzioni della democrazia parlamentare e dello stesso ruolo del Presidente, perché ovviamente sarà un po' complicato non indicare come premier il vincitore del ballottaggio).

Ma anche ammesso e non concesso che dobbiamo farci rassicurare da persone che finora hanno dato prova di non rassicurare nemmeno i propri sostenitori, è sufficiente prendere nota di ciò che è accaduto ieri in Parlamento: di fronte alle critiche dell'Ufficio parlamentare di bilancio – organo di garanzia – e alle previsioni molto diverse (anche di tre o quattro volte in eccesso, ovviamente da parte del governo), il governo ha dichiarato di andare avanti lo stesso con quella impostazione.

Ricordiamo che l'Ufficio parlamentare di bilancio è stato introdotto con la legge 243 del 2012, la legge di attuazione del pareggio di bilancio ex articolo 81 della Costituzione,

Uno strumento di vigilanza, quindi, creato a garanzia delle politiche economiche e, se si vuole, dalla politica.

La legge dice così:

Art. 16 Istituzione dell'Ufficio parlamentare di bilancio 1. È istituito, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera f), della legge costituzionale 20 aprile 2012, n.1, l'organismo indipendente per l'analisi e la verifica degli andamenti di finanza pubblica e per la valutazione dell'osservanza delle regole di bilancio, che assume il nome di Ufficio parlamentare di bilancio, con sede in Roma, presso le Camere. 2. L'Ufficio opera in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione ed è costituito da un Consiglio di tre membri, di cui uno con funzioni di presidente, nominati con decreto adottato d'intesa dai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, nell'ambito di un elenco di dieci soggetti indicati dalle Commissioni parlamentari competenti in materia di finanza pubblica a maggioranza dei due terzi dei rispettivi componenti, secondo modalità stabilite dai Regolamenti parlamentari. I membri del Consiglio sono scelti tra persone di riconosciuta indipendenza e comprovata competenza ed esperienza in materia di economia e di finanza pubblica a livello nazionale e internazionale.

Ancora una volta il governo fa a meno del Parlamento. Oltre alle preoccupazione sugli squilibri che la 'riforma' voluta dal governo potrebbe provocare, c'è da registrare una pratica che il governo stesso già adotta e non da oggi: non ci si fida, quindi, né del testo, né delle conseguenze a cui potrebbe portare, né delle intenzioni dei proponenti. Queste ultime non abbiamo nemmeno bisogno di verificarle: le abbiamo verificate già.

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