Da tre anni cerco di spiegare – prendendomi un sacco di parole, sarcastiche e denigratorie, per una posizione di minoranza per molti ridicola – che la riforma costituzionale è «pessima e tecnicamente invotabile», per usare le parole di Michele Emiliano di ieri pomeriggio (infatti non l'ho votata).
Nel fu-centrosinistra e soprattutto nel partito di maggioranza eravamo in pochi, allora. Anzi, anche i pochi che al Senato avevano fatto resistenza (vedi alla voce Vannino Chiti) si sono poi quasi tutti allineati. Ricordo che nel primo passaggio alla Camera si contarono quattro astensioni nel Pd. E qualche assente, chissà quanto giustificato e quanto invece motivato.
Da qualche settimana però le cose – a poco a poco, molto lentamente, forse troppo – stanno cambiando.
Una dozzina di parlamentari del Pd, che avevano votato la riforma, hanno annunciato questa estate il loro voto contrario al referendum.
Poi c'è stato D'Alema. Oggi Bersani annuncia che domani sarà il giorno del No per molti dei 'suoi' (i non moltissimi rimasti fedeli al suo tipo di "ditta"). L'appello che gli avevo personalmente lanciato dal palco di Firenze sembra andare a buon fine.
Insomma, di fronte alla Costituzione i tatticismi che hanno rovinato questa legislatura sembrano superati: non per tutti, ma almeno per alcuni.
Unico rammarico: se ci avessero dato retta e se avessero votato contro in aula, semplicemente questa riforma non ci sarebbe. Ci saremmo risparmiati tutto questo. E anche il resto.
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