Come si fa a non essere d'accordo?

«Perché vedete, e vorrei sottolinearlo, sarebbe del tutto infondato il sostenere o il lasciar intendere che nel passato il Parlamento sia rimasto chiuso in un atteggiamento di pura conservazione, di statica e retorica difesa della Costituzione del 1948».

E ancora:

«Il contrasto che ha preso corpo in Parlamento da due anni a questa parte e che si proporrà agli elettori chiamati a pronunciarsi prossimamente nel referendum confermativo non è tra passato e futuro, tra conservazione e innovazione, come si vorrebbe far credere, ma tra due antitetiche versioni della riforma dell’ordinamento della Repubblica: la prima, dominata da una logica di estrema personalizzazione della politica e del potere e da un deteriore compromesso tra calcoli di parte, a prezzo di una disarticolazione del tessuto istituzionale; la seconda, rispondente a un’idea di coerente ed efficace riassetto dei poteri e degli equilibri istituzionali nel rispetto di fondamentali principi e valori democratici.

La rottura che c’è stata rispetto al metodo della paziente ricerca di una larga intesa, il ricorso alla forza dei numeri della sola maggioranza per l’approvazione di una riforma non più parziale, come nel 2001, ma globale della Parte II della Costituzione, fanno oggi apparire problematica e ardua, in prospettiva, la ripresa di un cammino costruttivo sul terreno costituzionale; un cammino che bisognerà pur riprendere, nelle forme che risulteranno possibili e più efficaci, una volta che si sia con il referendum sgombrato il campo dalla legge che ha provocato un così radicale conflitto».

Giorgio Napolitano, discorso in Senato, 15 novembre 2005, a proposito delle modalità con le quali era stata approvata la 'riforma' durante la legislatura guidata dal governo Berlusconi. Sul metodo le parole dell'allora senatore a vita, nominato soltanto due mesi prima da Carlo Azeglio Ciampi, sono però di grande insegnamento anche per l'attuale dibattito referendario.

Sotto il profilo del contenuto, allora si modificava il ruolo del Presidente del Consiglio, mentre nella 'riforma' del 2016 non si è votato un cambiamento in proposito. Valgono però le considerazioni di Valerio Onida di oggi, sulla cultura politica da cui nascono (al Nazareno) 'riforma' costituzionale e legge elettorale:

Il nesso è nell’ispirazione che c’è dietro: la cultura della fretta – dove la parola d’ordine non è fare meglio, ma ‘semplificare’ ad ogni costo, anche dove questa esigenza non c’è – la cultura dello scontro, per cui il Parlamento viene visto come un luogo in cui si perde tempo o in cui una maggioranza monocolore ed una opposizione dai molti volti si limitano a scontrarsi, mentre le decisioni politiche devono essere prese dall’esecutivo, o meglio dal premier e dai suoi collaboratori. L’intento è quello di arrivare sostanzialmente all’elezione diretta del premier: si prevede infatti, nella legge elettorale, che debba vincere un solo partito ottenendo la maggioranza assoluta, quale che sia il livello di partenza del suo consenso, e che presentando la sua lista il partito debba indicare nome e cognome del ‘capo della forza politica’, destinato quindi, in caso di vittoria, ad essere presidente del Consiglio. In pratica, è una elezione diretta del premier introdotta in maniera surrettizia.

 

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