«Fuori, fuori!» E pensare che stiamo parlando di Costituzione. E chi parla dal palco non ha nemmeno un momento di resipiscenza, non ferma chi urla. Lascia fare. E torna alla mente un’immagine di qualche tempo fa, di un Craxi-Berlinguer a Verona, tra i fischi.

Incassato il sì di Cuperlo, che già era orientato a votare sì, peraltro, il premier ha ripreso a picchiare su tutti gli altri. Come al solito. Ha sempre fatto così.

Li avevo avvertiti fin da quando il Pd votò per mandarlo a Palazzo Chigi senza programma, con la stessa maggioranza, in assenza di impegni precisi, con una totale assenza di riferimenti al programma elettorale con il quale eravamo stati votati. Prolungando fino a fine legislatura una maggioranza che doveva essere d’emergenza ed è diventata politica e strutturale.

Con l’arrivo del Cuperlum – ma solo a parole, per ora – c’è una considerazione da fare: ammesso che sia vero che l’Italicum – la legge simbolo del governo – sarà rottamato, il Pd smentisce se stesso. Anzi, si sfiducia da solo. Uscii dalla maggioranza proprio in quella occasione. Dalle tre fiducie, siamo passati alle tre carte.

Se si cambia la legge elettorale come dice il documento, il Pd dimostra il fallimento della propria strategia. Dopo tre anni, si torna al 4 dicembre del 2013, quando Consulta bocciò Italicum (volevo dire, Porcellum). Non è un caso che la data sia la stessa.

E se succederà allora sarà stato proprio quel «governicchio» di cui Renzi parla con sarcasmo. Il proprio. Autore del Jobs Act e dei voucher, della proliferazione di bonus elettorali in deficit, e sì, è vero: della legge sulle unioni civili che è ancora la più arretrata d’Europa.

Senza una strategia per affrontare la povertà, senza alcun senso per il futuro (vedi alla voce Ambiente, se la trovi) e con un’occupazione sistematica di tutto il potere che si può (a cominciare dalla Rai, che è stata liberata dai partiti, per metterci solo lui).

Ormai anche i suoi sostenitori scelgono la strada della rottura: un tempo Recalcati parlava di Telemaco per superare l’aggressività di Edipo. E invece oggi ribalta la metafora, per altro adottata dal premier in Europa, senza i successi sperati allora.

Il pezzo di Massimo Giannini oggi su Repubblica indica il problema: la rottura del centrosinistra a favore di un partito legato alla prosopopea del leader. Si tratta del PdR: fui il primo a parlarne con Marco Damilano, mentre Renzi defenestrava Letta, peraltro con il consenso di quasi tutto il Pd. Tranne me.

Il «fuori fuori» iniziò allora. Ora è solo una brutta scoperta.

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