Come già per il lavoro, per l’ambiente, per le trivelle, per le infrastrutture (giù giù fino al Ponte sullo Stretto), sulle tasse per la prima casa (a prescindere dal reddito e dal patrimonio complessivo), sull’uso del contante, sui bonus-lotteria e su mille altre cose ancora, a cominciare dai rapporti con il Parlamento (l’ennesima fiducia) così anche per l’immigrazione il partito del governo attualmente in carica non ha cambiato le politiche della destra già in vigore, ma le ha addirittura rilanciate, con parole d’ordine perfettamente mutuate dagli avversari. Cultura e norme ormai introiettate, senza nemmeno rendersene conto.
Come spieghiamo con Stefano Catone, è un percorso culturale e politico che consegna il paese alla destra prima ancora che la destra vinca le elezioni. Che fa propri argomenti, temi e parole che a tutta prima sembrano ridimensionare lo spazio elettorale della destra ma che contribuiscono invece a farlo crescere, perché descrivono i fenomeni esattamente come li descrivono gli altri e propongono soluzioni analoghe e perfettamente conseguenti. Consegnando loro la vittoria, come se si trattasse di una cessione di sovranità, di cultura politica, di riferimenti valoriali.
Fa impressione che la norma sia firmata dal duo Minniti-Orlando, un neo-ministro già dalemiano e veltroniano (una sorta di sintesi dell’ecumenismo democratico) e da un altro ministro fin dalla fondazione delle larghe intese, che rappresenterebbe la sinistra del mondo democratico: se è questa la sinistra interna, figuriamoci la destra.
Non è mai troppo tardi per rendersene conto: vedremo alla Camera chi sosterrà il decreto Minniti, spartiacque sul piano culturale, prima ancora che politico, di qualsiasi convergenza elettorale.
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