Non ho commentato le primarie del Pd per ovvie ragioni. Registro che ha stravinto, come prevedevo (e non ci voleva il mago Otelma), la linea renzianissima che si ripropone tout court: non c’è stato il cambiamento di linea che alcuni – anche a sinistra – si auguravano, né un cambiamento di scenario, né alcun cambiamento di «quadro» politico.
Rispetto al 2013, raggiungono il milione gli elettori che non hanno partecipato al voto. E il risultato totale del 2017 coincide con i voti che Renzi ottenne nel 2013: la «diaspora» di cui parlo da tempo prosegue. Nessuna sorpresa: cade l’argomento del «cambiamento da dentro» e spero che tutti se ne siano resi conto (consiglio la lettura di Rocco Olita, che si chiede come possa Giona indicare la ‘rotta’ alla balena).
Colpisce, in questo contesto, l’aumento di voti in alcune località. Merito di un candidato del Sud, e ciò può solo far piacere (se il Sud, intendo, torna protagonista del dibattito nazionale), ma conseguenza anche di pratiche clientelari, opacità, cammellaggi duri a morire.
Ora si parla molto di Ercolano, ma credo che il problema sia più profondo e diffuso. Quando chiesi nel 2014 che fossero inserite le mitiche «primarie per legge» nell’ambito della discussione della nuova legge elettorale, non fui ascoltato (nemmeno dal partito delle primarie). È stato un grave errore, perché è fondamentale che il voto sia certo. E quando si parla di delusione e di sfiducia, si dovrebbe almeno evitare di alimentarla. Scientificamente. A furia di fritturine, sono, siamo «fritti».
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