Stando alle conclusioni del congresso del partito del governo, le parole del segretario rinnovato, le lancette ferme al 4 dicembre per toni, argomenti, metodo e merito, un pensiero corre a chi in questi mesi si è lanciato in spericolate descrizioni del cambiamento di fase politica, di riproposizione del centrosinistra e dell’Ulivo, di nuovi equilibri.
Chi subito dopo il 4 dicembre scrisse che si doveva andare a un superamento della contrapposizione del sì e del no (avendo peraltro votato sì), si ritrova alla contrapposizione del sì e del no, sostenuta proprio da chi ha votato sì, perdendo clamorosamente.
Chi aveva confidato in una stagione di governo diversa, puntando sull’entrismo e sulla disponibilità a collaborare, si trova un muro di cemento armato.
Chi aveva minimizzato il tasso di renzismo nella maggioranza, «cambiando da fuori» in collaborazione con chi voleva cambiare «da dentro», si ritrova spaesato.
Dispiace che nella politica italiana non si riconosca mai che altri avevano mantenuto una posizione più limpida. E non in ragione di chissà quale estremismo (al massimo dell’estremismo altrui, potremmo dire), né in virtù di chissà quale gusto per la contrapposizione (che per l’ex-premier è l’unica chiave di lettura per la realtà) ma sulla base di un ragionamento semplice, lineare, nitido: che la pensiamo diversamente, che non condividiamo le cose che si dicono e si fanno, che non intendiamo prestare il nostro voto a uno schema politico in cui non ci riconosciamo.
Speriamo che non si perda altro tempo in ghirigori e in abracadabra e si costruisca qualcosa di diverso, come alcuni di noi stanno facendo da tempo. Chi da anni, chi da mesi. Non importa chi è arrivato per primo, importa la convinzione che si mette, che non ammette ambiguità e retromarce.
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