La vicenda del Baobab, i diciassette sgomberi, i continui rinvii, le soluzioni mai individuate, le tende che ospitano 150 «transitanti» (il dato è in perenne aggiornamento) ci pongono una domanda semplice: la politica dov’è? Non dovrebbe stare in quella piazzola della stazione Tiburtina? E non dovrebbe imboccare via Altiero Spinelli (il nome è quello, con ironia della storia grande quanto l’ipocrisia europea) per andare a parlare con i volontari, i medici, gli avvocati, con chi assiste, sfama e ricovera le persone e trovare una soluzione minima?
Perché molti a manifestare il sabato “senza muri”, non importa se con Minniti o contro (che cosa volete che sia) per poi dimenticarsi del Baobab per tutto il resto della settimana: e senza muri (e senza virgolette) è rimasto giusto il Baobab, che non ha un posto dove andare. Né un luogo dal quale essere sostituito, come chiedono i protagonisti della Baobab Experience. Per il resto, i muri ci sono eccome, se è vero che noi stiamo portando il confine a Sud, come titolava un’importante quotidiano italiano di orientamento progressista giusto ieri. Verso il Niger e il Ciad. Verso l’Eritrea da cui provengono in maggioranza i ragazzi del Baobab, che è un regime ritenuto dittatoriale: il posto giusto dove portare il confine.
Noi oggi ci siamo stati, ma si sa, noi siamo quelli che c’erano già in via Cupa (anche quello un nome, un destino), quelli impopolari, quelli residuali, quelli che si occupano di questioni delicate che non portano voti, anzi li fanno perdere. Non come i grandi partiti, che passano la vita a rimpallarsi questioni e accuse, senza individuare soluzioni minime per la dignità delle persone.
Tutti a citare la misericordia papale, in un perenne giubileo di cordoglio e di comprensione, che si ferma a qualche centinaio di metri di distanza, però.
Oggi qualcuno mi ha scritto: perché non lo fate per gli italiani? E la risposta è proprio che lo facciamo per gli italiani. Per la dignità e la sicurezza di tutti, anche la nostra, per una convivenza che non sia basata sull’odio e sul risentimento, sul razzismo e sulla discriminazione (che sono la stessa cosa, anche se incredibilmente non ce ne rendiamo conto).
Perché l’invasione – come la chiamano – ci parla di un numero di stranieri che nei momenti di maggiore presenza rappresenta lo 0,3% della popolazione. Non il 30, nemmeno il 3. Solo lo 0,3. Persone che peraltro non si vorrebbero nemmeno fermare tutte «qui da noi», che vorrebbero andare oltre, e che hanno tutti i diritti di protezione previsti dai Trattati e dalla nostra Costituzione. E si fanno le foto con i documenti e che sono paradossalmente contenti quando li sgomberanno perché se li portano in questura magari poi dicono loro anche come stanno le cose, qual è il loro destino.
Chissà che ne penserebbe Spinelli, quello della via, che immaginava un’Europa che fosse – in se stessa – un progetto di riforma sociale. E che invece non c’è. Come non c’è la Repubblica, che si ferma un po’ più in qua. Là dove ha portato il confine della sua ipocrisia e della sua inerzia.
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