Dieci anni fa Beppe Grillo lanciò il V-Day. Per festeggiare il decennale Grillo si è messo d’accordo con Renzi e Berlusconi per votare a settembre con una legge che contraddice perfettamente quella raccolta di firme e quella legge di iniziativa popolare, una legge che voleva abolire forsennatamente le liste bloccate, con tanto di «vaffanculo» a tutti quanti. Una legge che costituì il vero atto fondativo, politicamente parlando, del suo movimento, che i partiti di allora fecero malissimo a non prendere in considerazione (lo dissi anche allora, passando per «amico dei grillini», un’etichetta per la quale fui attaccato duramente, da entrambi i fronti, ora capisco anche perché). Era l’8 settembre, sono passati dieci anni esatti.
Allora salutai il V-Day così, collegandolo al referendum per la modifica della legge elettorale, un tentativo generoso per richiamare il sistema politico all’urgenza di contrastare la sfiducia crescente (e già cresciuta) verso le istituzioni. Era il periodo in cui mi battevo anche per le primarie dei parlamentari. Che poi si tennero, nel fu-centrosinistra, tra Natale e Capodanno, alla fine del 2013, ma senza la riforma della legge elettorale. Erano primarie aperte, ma condizionate dallo scarso preavviso e dalla certezza (di cui ero fortemente consapevole) che fossero comunque un ripiego, rispetto alla possibilità di offrire una scelta vera e complessiva ai cittadini.
Ora i 5 stelle spiegano che loro le fanno, le primarie. Tra gli iscritti, però. Se poi non dovesse andare bene il risultato, si può sempre fare come a Genova, che il risultato si mette a posto dopo, annullando il voto stesso.
Peraltro dicono di avere votato il tedesco e di avere ricevuto un mandato: solo che questo non è il tedesco, e non nel senso di Magritte, non c’entra proprio un accidenti. È un misto di tante cose diverse, che i 5 stelle hanno via via avversato.
A me pare un’enormità. E non solo per il merito della questione. E nemmeno per il fatto che i fustigatori dell’ordine costituito alla fine si siano allineati perfettamente a una legge elettorale in cui le liste bloccate sono addirittura due, i collegi sono finti, la decisione sarà in mano a pochi, pochissimi.
Sempre pronti a segnalare contraddizioni e ambiguità, si sono dimostrati in tutto uguali («sono tutti uguali!») a chi hanno sempre contestato.
Il punto però è un altro ancora: per cinque anni hanno tenuto una posizione tetragona, irriducibile, prendendo – a ragione, in molti casi – le distanze dal sistema delle larghe intese. Solo che sul più bello (e decisivo) hanno deciso di assecondare lo schema politico che dicono di voler avversare. Dando il via libera a un’operazione che è solo una rivisitazione del Porcellum, di cui è una versione del tipo insaccato. E un partito o un movimento si valuta quando è decisivo, quando può incidere, quando può davvero contribuire a cambiare, soprattutto quando si discutono questioni decisive. Se questa è l’impostazione, possiamo immaginare come governeranno.
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