In un giorno come questo il Vestfjorden può sembrare un paradiso di purezza. Ma è ben lungi dal vero. Benché qui il mare sia così aperto e le correnti così forti che ben poco rimane fermo, ci succede comunque di vedere oggetti di plastica galleggiare sull’acqua. Forse è roba scaricata nella zona, forse viene da una costa lontana. Il mare del mondo è un elemento interconnesso. […]
Un’isola-maelström di plastica di questo genere nell’Oceano Pacifico pare sia grande come metà del Texas. Un’altra si sta formando a nord del Mare di Barents. Perfino i granchi sul fondo di quel remoto e freddo mare hanno plastica nello stomaco. Quando la plastica è dissolta in microparticelle, viene assorbita dal plancton, o precipita sul fondo, dove gli animali bentonici a loro volta la assorbono.
Non è la dolce storia di ochette gialle che sonnecchiano vagando per la grande vasca da bagno dell’oceano. Quando gli uccelli marini norvegesi vengono esaminati, i ricercatori trovano che nove su dieci hanno plastica nello stomaco: non sono in grado di digerirla, e questo impedisce loro di assorbire il nutrimento.
Capita ai merluzzi, capita ai capodogli, capita anche a noi che li mangiamo. Capita quando ti metti alla ricerca del grande squalo della Groenlandia, sul vasto mare tra onde imponenti e montagne che sembrano denti di squalo anche loro, così come i fiordi e gli arcipelaghi dai quali quel mare si spalanca.
Così ne scrive Morten Strøksnes, Achab pacifico e riflessivo, in compagnia di un amico artista, spostandosi su una piccioletta barca, tra le profondità del mare e le specie più sconosciute, tra le epoche preistoriche e la più immediata attualità, sprofondando nelle oscurità inaccessibili e insomma in tutto ciò che non sappiamo, che scopriamo, pagina dopo pagina, essere quasi tutto.
È Il libro del mare (Iperborea). Buona immersione.
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