Quando sono stato a Oslo a visitare il Nobel Peace Center ho ascoltato con attenzione il discorso del presidente della Colombia, Juan Manuel Santos («La pace in Colombia: dall’impossibile al possibile»).
Non posso perdere l’occasione di ribadire oggi un appello che ho fatto al mondo dopo la Cumbre de las Américas di Cartagena nel 2012 e che ha portato ad una speciale sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nell’aprile di quest’anno.
L’accordo con le FARC comprende l’impegno di questo gruppo a interrompere qualsiasi legame con gli affari del narcotraffico e a contribuire a combatterlo.
Ma il traffico di droga è un problema globale e richiede una soluzione globale che inizia con una realtà inconfutabile: la «guerra alla droga» non la si è vinta, né la si sta vincendo.
Non ha senso imprigionare un contadino che semina la marijuana, quando – ad esempio – oggi è legale produrla e consumarla in otto stati degli Stati Uniti.
Il modo in cui la guerra alla droga si è sviluppata è dannoso come e più di tutte le guerre che oggi si combattono nel mondo. È giunto il momento di cambiare la nostra strategia.
Anche in Colombia, le iniziative di Malala, la più giovane vincitrice del Premio Nobel, sono state fonte di ispirazione, perché sappiamo che solo attraverso la formazione delle menti, attraverso l’educazione, possiamo trasformare la realtà.
Ecco, quando parliamo di cannabis legale, parliamo anche di questo. Di un sistema proibizionistico inaugurato per ragioni squisitamente politiche che ha fallito e che ha prodotto più lutti e sopraffazioni di quanti ne abbia evitati. Che non ha ridotto, ma aumentato il danno delle droghe. Che ha devastato le economie e le democrazie di molti paesi.
Ne ho scritto diffusamente nel piccolo libro pubblicato qualche mese fa (Cannabis. Dal proibizionismo alla legalizzazione): ora che con un ritardo scandaloso è messa ai voti la questione alla Camera dei deputati, mi permetto di ricordarlo a chi ancora parla come se si trattasse di un tema minore, dando fondo al più spinto dei benaltrismi.
C’è sempre qualcosa di più grande di cui parlare: la guerra e la pace, per esempio.
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