Autoritaria nei modi, autolesionistica nei risultati.
Il capolavoro politico del Rosatellum è il seguente: una legge elettorale pensata per fare male ad altri (M5s e sinistra) che fa del male a chi l’ha elaborata.
Come le trappole dei cartoni animati, in cui puntualmente finisce il coyote.
Oggi su Repubblica i parlamentari della maggioranza danno per persi i bacini elettorali più grandi, il Nord e la Sicilia («si ripeterà il cappotto del 61 a 0!», per gli altri). I collegi di Roma, dicono i parlamentari più avveduti, finiranno a «quota zero».
Non male.
Ma c’è di più: dopo avere passato una legislatura a sbaragliare correnti, a intavolare a destra e a dileggiare a manca, a additare membri dello stesso partito o potenziali alleati come perniciosi avversari da esporre al pubblico ludibrio, il Rosatellum reintroduce le coalizioni. E le coalizioni chi ce le ha? Solo la destra, che infatti fatica a trattenere l’entusiasmo a cui questo fu-centrosinistra l’ha abituata, fin dai tempi del Jobs Act.
Coalizioni fittizie, peraltro, quasi fosse un indizio del legislatore seriale che vuole essere fermato dagli inquirenti (in questo caso i cittadini alla ricerca di qualcosa di decente da votare): le coalizioni saranno solo sulla carta (ovvero sulla scheda) perché le singole liste avranno un loro capo e un loro programma, anche diverso. Roba da matti: si segnala da ultimo che le coalizioni esistono praticamente solo in Italia, perché negli altri paesi europei, ad esempio, si sono ben guardati dall’immaginare una simile porcheria. Controllate.
Non è finita: tutto il trucco del Rosatellum – che è un Porcellum solo un po’ più giovane, un Beaujolais delle liste bloccate dentro un sistema bloccato – consiste nel portare gli elettori al «voto utile». Basta aprire un social per scoprire che l’unico argomento adottato dal Pd e dalla sua risicata maggioranza (attuale) è questo. Come se «per non far vincere le destre» non sarebbe meglio fare le cose bene, non mettere la fiducia sulle leggi elettorali (magari incostituzionali, come la precedente) e evitare di favorirle in tutti i modi, le destre. Ma non è nemmeno questo il punto: il punto è che il «voto utile» funziona se la tua proposta politica tira, mentre se sei in calo rischia di portare a effetti opposti, trascinando con sé la lista del proporzionale. Se nel collegio si candida un protagonista della stagione del «ciaone», ad esempio, c’è il rischio che di voti ne faccia scappare parecchi, proprio perché la logica del Rosatellum è coalizionale, mutualistica, e nei collegi potreste trovare persone che hanno costruito sull’arroganza e sugli atteggiamenti divisivi le proprie fortune politiche.
C’è solo un punto, per concludere, sul quale l’autolesionismo degli uni potrebbe rivaleggiare con quello degli altri: essendo una legge pensata per i nominati ma soprattutto per chi li nomina (aspetto poco rilevato, finora, ma centralissimo), resta da capire perché i parlamentari di Forza Italia, che Berlusconi ha già fatto capire di voler cambiare all’insegna del mito della (propria) giovinezza, dovrebbero votare una legge che impedisce loro di contarsi e di far valere il proprio peso politico e territoriale.
Mistero. O forse semplicemente il ritorno di Cipolla e delle sue leggi. Elettorali.
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