L’omicidio di Daphne Caruana Galizia è un omicidio politico, nel senso più proprio e drammatico del termine.

C’è l’isola del tesoro, Malta, un paradiso fiscale per le imprese, a cominciare – come oggi ci ricorda Repubblica – dai colossi del gaming, delle scommesse: la tassazione delle imprese, precisa Giuliano Foschini, arriva all’8 per cento e garantisce una certa privacy, chiamiamola così. Una Svizzera in mezzo al mare e, però, dentro la Ue. Ci sono i narcos (anche) italiani e ciò che si muove tra il Nord Africa e il Medio Oriente e la ricca Europa che si droga. C’è, insomma, la mafia, che fa saltare le auto con le bombe, come sappiamo purtroppo molto bene. C’è il giornalismo investigativo che non fa sconti al potere e che va sempre sostenuto come bene più prezioso di una democrazia che sia degna di questo nome. C’è il contrabbando di petrolio. C’è la Brexit, anche. Ci sono i trafficanti di uomini. Sulla linea di Lampedusa.

Droga, petrolio, banche, riciclaggio. Tutto si tiene, in questa storia terribile. Come già il «lava jato» c’è anche la politica e non certo sullo sfondo, senza fare distinzioni tra maggioranza e opposizione: «corrotti ovunque», aveva scritto la giornalista, poche ore prima di essere uccisa.

A proposito di grande transizione matrioska, le questioni sono planetarie e stanno una dentro l’altra. E sono questioni che precipitano tutte qui, nel nostro mare, dove si incrociano uomini, droghe, mafie, ricchezze e povertà assolute. Chi le racconta davvero rischia: sarebbe ora che la politica si schierasse dalla parte giusta, che toccasse i punti nevralgici del potere, che sapesse tenersi molto lontana da questa corruzione che ha guastato il mondo.

  •  
  •  
  •  
  •  

Commenti

commenti