Ve lo ricordate Dürrenmatt e il suo requiem per il romanzo giallo? Ovvero un intrigo giallo (e a tinte molto fosche) che risulta irrisolvibile perché è impossibile risolverlo. Perché il caso ha annullato il ‘caso’, potremmo dire.

Davide Vecchi ha scritto un libro (per ChiareLettere) nel quale torna più volte l’espressione: se fosse un romanzo giallo, sarebbero successe alcune, fondamentali cose, scrive, ma questa è la realtà, questa è Siena.

Il caso David Rossi non può essere un romanzo giallo, perché troppe sono le disattenzioni nel corso delle indagini, le prove non considerate e ora impossibili da ricostruire, le testimonianze non raccolte né considerate.

Se fosse un romanzo giallo le riprese intorno alla sede del Monte sarebbero state passate con attenzione, sarebbero state sentite le persone che erano presenti nella sede al momento del volo di Rossi, sarebbe stata analizzata la scena e qualcuno avrebbe cercato di capire chi rispondeva al telefonino di Rossi dopo la sua caduta.

I lettori se lo aspetterebbero, da un romanzo giallo.

L’orologio che cade sul selciato, quando Rossi è già a terra da qualche minuto, agonizzante. Il modo in cui Rossi cade, quantomeno anomalo. Le orme che si muovono intorno al suo corpo, nel vicolo in cui è caduto. La porta del suo studio che si apre e che si chiude, dopo che Rossi è già deceduto. Particolari clamorosi in qualsiasi romanzo giallo. Ma non nella realtà, non a Siena, dice Vecchi.

Il caso Rossi non è un romanzo giallo. Il caso ha una trama che non regge, non è credibile, non convince. È un pessimo giallo, insomma, e una storia orrenda, che diventa un mistero italiano come molti altri, puntualmente collegati al mondo della finanza e delle banche, tra suicidi che non lo erano, omicidi senza imputati, delitti che svaniscono nel nulla. Chi sapeva qualcosa, ha taciuto, chi poteva collaborare, non lo ha fatto: il caso Rossi è presto caduto, così come il corpo del manager, vicinissimo al luogo del potere che stava crollando e dove molte cose, anche quelle, stavano in quei giorni precipitando.

Vecchi mostra le contraddizioni ma, con equilibrio, non azzarda conclusioni definitive. Si chiede perché cose ovvie siano state trascurate, perché un caso sia stato archiviato senza prendere in considerazione elementi che aprono ad altre ipotesi, molto diverse da quelle del suicidio di David Rossi, la cui caduta fu tutt’altro che solitaria, in ogni senso, e che solitaria è diventata solo dopo la sua morte, quando si è persa la visione di insieme. Forse perché era proprio l’«insieme», il contesto, ciò che a David Rossi stava intorno a preferirlo.

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