Oggi sono tutti giustamente preoccupati per il vivaio e pretendono l’assunzione di responsabilità del gruppo dirigente dell’incredibile Tavecchio e dello sventurato commissario tecnico della Nazionale.
Il futuro, come ogni cosa, diventa importante quando è negato, quando si perde.
Vale per il calcio, ma vale – mille volte di più – per il sistema della ricerca pubblica, di cui ci siamo occupati questa mattina, in occasione dell’incontro promosso da Sinistra italiana.
È già molto tardi, il futuro in questo caso è già negato dalla scarsità degli investimenti e dalla mancanza di prospettive.
Un futuro negato due volte, sotto il profilo individuale, a causa del precariato che accompagna i lavoratori fino alla pensione, e sotto il profilo collettivo, per le occasioni che già stiamo perdendo e che in futuro, appunto, perderemo ancora di più.
La precarietà stessa è individuale e collettiva, proietta e assicura le disuguaglianze anche per il futuro, facendole crescere ogni anno di più.
E invece le risorse si devono trovare perché la ricerca è esattamente la prima cosa che si deve finanziare. E il «vivaio» qui è ancora più importante, se vogliamo garantirci di andare ai mondiali, di essere cioè competitivi con sistemi ben più solidi e capaci del nostro.
La categoria dei ricercatori precari è sfortunata, sono persone molto istruite, non volgari, per loro natura ragionevoli, che pongono questioni molto precise: sono anche pochi di numero. Sono perciò fuori moda, anche per via di quel clima antiscientifico che si respira un po’ dappertutto.
Le risorse per «liberarli» non sono certo eccessive e se avessimo coraggio la politica chiederebbe più progressività e una successione per chi sta molto molto molto bene, indirizzata proprio a finanziare la ricerca, l’università, la scuola, a cominciare dalla gratuità (da introdurre progressivamente) dell’istruzione, partendo dai più piccoli per arrivare ai più grandi.
Se davvero vogliamo una squadra più forte per il futuro, dobbiamo investire ora, come hanno fatto molti altri, più accorti e lungimiranti di noi. E mettere da parte le risorse non solo per il debito che abbiamo ereditato, ma anche per il credito pubblico da recuperare. A cui la ricerca da un contributo fondamentale e ineludibile.
Inutile togliere la tassa sulla casa anche ai più abbienti se poi la casa è inserita in un contesto che si impoverisce ogni giorno di più, se si perde di vista la vocazione di un intero paese. Peggio un bonus oggi di un Paese forte e ricco, per tutti, domani.
Altrimenti il pianto di Buffon, tanto celebrato, si diffonderà anche al di fuori dallo stadio.
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