Il fantasma del Natale presente assomiglia moltissimo a quello di cui scrisse Dickens, anche se quella storia ci sembra così lontana nel tempo. E ci ricorda che noi dobbiamo lavorare perché il fantasma del Natale futuro racconti una storia migliore, per tutte e tutti.
Il canto di Natale di Dickens è del 1843. Parlava del Natale di un finanziere, Ebenezer Scrooge. Un Natale che a quasi due secoli di distanza sembra molto attuale.
Si augurava, Dickens, che «il Fantasma di un’Idea», non mettesse i suoi lettori «in contrasto con se stessi e tra loro», «potesse infestare le loro case piacevolmente» (scrisse così, «piacevolmente»!) e nessuno soprattutto sentisse il «desiderio di scacciarlo».
E allora, caro Ebenezer, che sia l’ultimo Natale in cui le persone lavorano pagate poco, pochissimo, anche se lavorano il giorno di Natale, che è una questione che, oggi come allora, ne porta con sé molte altre. E che alla fine qualcuno dica, come dici tu, «adesso ascoltate bene quello che vi dico, non intendo sopportare oltre questo genere di cose e pertanto intendo aumentarvi lo stipendio!».
L’ultimo Natale in cui la successione sia solo per i figli di chi sta bene e per gli altri niente. E tutti fanno il lavoro che hanno ereditato dai genitori perché l’ascensore sociale si è bloccato e anche alle scale mancano parecchi gradini. E il figlio dell’operaio fa ancora più fatica a diventare dottore. E se diventa dottore fa ancora più fatica a trovare lavoro (l’evoluzione-involuzione della questione è proprio questa).
L’ultimo Natale in cui chi ha molto non si chieda se non è venuto il momento di ridurre le disparità che ci sono e che mortificano gli altri. E che qualcuno si preoccupi, come capita anche a te, alla fine della storia, di assicurare un futuro ai più piccoli e di mandare a scuola i ragazzi, rendendo davvero gratuita la possibilità di studiare e di essere accompagnati da un vero diritto allo studio fino alla fine degli studi universitari.
Se ordini un panino o un panettone con una app, dovresti essere certo che chi te lo consegna possa avere una retribuzione dignitosa, perché il cottimo appartiene ai Natali passati, molto passati.
Se vedi un povero, Ebenezer, non preoccuparti del «decoro», che gli manca solo perché è povero, e anche perché qualcuno di decoro abusa: preoccupati della generosità. Sì, lo so, pensi sia una parola «orrenda», ma è quella che ci vuole. Non solo a Natale, certo, ma negarla proprio a Natale, è ancora più triste.
«Se lo facciamo adesso» e se ce lo diciamo, caro Ebenezer, «è perché questo è un tempo in cui più che mai il Bisogno è avvertito acutamente e l’Abbondanza è in tripudio».
Questo è ancora un Natale in cui i Super Scrooge, che chiameremo Scroogle, pagano solo le tasse che decidono di pagare, dove costa loro meno farlo e se possibile proprio da nessuna parte, perché il loro tesoro possa trovare un’isola che lo ospiti. Paradisi si chiamano, termine molto natalizio, di un Natale esclusivo che però preferiamo non celebrare. Perché poi il welfare soffre e i cittadini si sentono tagliati fuori, emarginati, esclusi.
Quello del 2017 è ancora un Natale in cui le grandi concentrazioni producono diseguaglianze sempre più grandi e condizionano la vita di tutti quanti. Non solo dal punto di vista delle retribuzioni del singolo lavoratore, caro Ebenezer, so che la questione ti sta tanto «a cuore», ma anche della possibilità di resistere per chi produce per loro. Che siano libri, o elettrodomestici, o mobili. Regali di Natale, anche.
Ci vuole un Natale in cui i prodotti siano commercializzati solo se per i lavoratori ci sono condizioni dignitose, nei tempi, nei modi e nella retribuzione del lavoro, in tutto il mondo. Che chi fatica nei campi abbia paga e diritti commisurati alla sua fatica. Che chi ha un lavoro discontinuo abbia strumenti per continuare a vivere e a progettare il proprio futuro.
Il Fantasma del Futuro fa paura più di ogni altro, dici tu, e lo sappiamo che hai ragione. Ma in una società con minori disuguaglianze starebbero meglio tutti, anche i più facoltosi, quelli che il Natale addirittura lo snobbano, perché per loro è Natale tutti i giorni. E pensare che a fronte di un minimo sforzo potrebbero rendere migliori le condizioni per tutti, rendendo il mondo più sicuro e più ricco: un mondo dove stare bene tutti. Loro compresi.
Lo spiegavano due studiosi in un libro che si chiama La misura dell’anima, una misura da ritrovare. Come anche l’anima, liberata dalle ombre delle cose passate.
E se tutto questo vi fa ridere, sappiate che «nulla mai accade di buono su questo pianeta di cui certa gente all’inizio non rida».
Buon Natale presente e, soprattutto, buon Natale futuro.
Le parole di Charles Dickens sono tradotte da Bruno Amato per Feltrinelli.
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