Sulla base dello stesso principio di irresponsabilità, vendiamo armi a paesi in guerra e a paesi che non rispettano i diritti umani, contrariamente a ciò che la stessa legge italiana vieterebbe. Non diamo informazione di chi acquista, non rispondiamo alle domande rivolte in Parlamento, né alle pressioni delle associazioni pacifiste.

In Yemen l’Arabia Saudita scaglia proiettili e bombe italiane contro le popolazioni civili. In Egitto vendiamo armi per le forze dell’ordine e quelle militari. Il nostro export di armi verso le zone mediorientali è aumentato. Spesso, poi, non è nemmeno necessario vendergliele, le armi: le portiamo in dono direttamente noi. È il cosiddetto fenomeno della diversion, spiegato così da Cecilia Strada: «quando le armi scorrono a fiumi, è ampiamente prevedibile che finiscano in mille rivoli. Il flusso, come quello di un fiume, può divergere dal suo letto originario». E così armi prodotte per (e utilizzate da) gli eserciti più attrezzati del mondo – gli eserciti di quei paesi che fanno parte del Consiglio di sicurezza dell’Onu, che dovrebbero appunto garantire la nostra sicurezza – finiscono nelle mani di milizie, signori della guerra, terroristi. Dove pensiate che si riforniscano, altrimenti? Sono le nostre bombe quelle che esplodono nei mercati di Kabul.

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