L’ultimo libro di Staglianò si intitola così. Parla della sharing economy, della sua diffusione esplosiva e delle sue rilevanti conseguenze sulla vita delle persone.

È un libro molto equilibrato sotto il profilo politico e culturale, alieno da qualsiasi tifoseria. Un testo analitico che si articola in una rassegna ricchissima di storie e di esempi che portano il lettore, senza fatica, a affrontare questioni complesse: complesse proprio perché all’impronta possono sembrare semplicissime.

La distribuzione del lavoro, le sue garanzie, la distribuzione del reddito e delle opportunità sono squadernate da Staglianò in un racconto che non risparmia il dibattito politico italiano, ne contesta parzialità e debolezze, lo provoca per spiegare che la questione del lavoro che si frantuma ci riguarda molto direttamente: non riguarda il nostro futuro, è già molto matura nel nostro presente.

In fondo si tratta di questioni essenziali, universali e eterne: il salario, i diritti, la possibilità delle persone di lavorare e, lavorando, di non rimanere povere. I rapporti tra politica e potere economico e della soggezione della prima verso il secondo. La possibilità di trovare nuovi modelli per garantire che il benessere sia condiviso (shared, appunto) come appunto vorrebbe il nome di questa «nuova» economia: che ha strumenti nuovissimi, concentrazioni mai viste e però sfruttamenti antichi, tra il cottimo e il ricatto continuo, assecondata da legislazioni troppo accondiscendenti verso chi offre il lavoro, senza un’adeguata remunerazione. Uno scambio pericoloso per la «salute» dei lavoratori e dell’intero sistema, dice Staglianò, che offre alla fine del suo lavoro una guida per uscire dai guai, che consiglio a tutti quanti di leggere con grande attenzione. Anche come antidoto alle sparate elettorali che risuonano da un capo all’altro del sistema politico italiano.

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