Il Corriere della Sera ci dice che il Presidente Emerito Giorgio Napolitano non voterà per il Pd (neanche lui: attendiamo che lo dica anche Renzi, a questo punto) ma per la lista di Tabacci e Bonino. Come altri protagonisti di questi anni, obbligati agli equilibrismi elettorali per dare a se stessi e agli altri l’impressione di votare utilmente per una forza di governo senza però votare chi quel governo dovrebbe guidarlo. Peraltro una lista promossa da cattolici e radicali insieme, un ossimoro elettorale.
Ma questa è solo una delle chimere politiche generate dalla legge Rosato: abbiamo un sistema elettorale che non garantisce né governabilità, né rappresentanza, abbiamo coalizioni di facciata composte da partiti che condividono soltanto lo spazio sulla scheda elettorale, coalizioni della domenica che si uniscono il 4 marzo per poi salutarsi il giorno dopo, destra e sinistra che si mischiano ovunque in nome di una Politik talmente real da essere diventata puro fantasy. E questa degenerazione della politica italiana viene ormai da molto lontano, da quando qualcuno ha deciso che i fini, spesso di pochissime persone, sono diventati più importanti dei principi.
Nei quasi trent’anni che sono intercorsi tra la discesa in campo di un uomo solo che ha usato la politica per salvare i propri interessi (nessun conflitto: gli interessi convergevano) e la piccola lobby di vitelloni arrivisti che ha recentemente scalato il nostro sistema politico, abbiamo perso completamente di vista il fatto che la politica non può prescindere da idee e valori e che qualunque interesse di cricca personale o di gruppo è in conflitto con gli interessi della comunità.
La politica italiana è al lumicino, siamo ormai oltre il fondo del barile e l’unica cosa di cui c’è veramente bisogno, come dice Maurizio Viroli, è una rinascita civile.
Sarà un percorso lungo e complicato, ma non possiamo più aspettare e da qualche parte dobbiamo assolutamente cominciare, facendola finita con i fini e ricominciando dai principi.
Bisogna ritrovare il coraggio di avere una visione, di usare parole bellissime come utopia, di ricominciare a credere che il mondo possa cambiare, bisogna smetterla di fare i fenomeni e ripartire dai fondamentali. Per uscire dal buio dei nostri tempi, per esempio, mi affiderei a un illuminista che nel 1745 scriveva così:
È manifestamente contrario alla legge di natura, in qualsiasi modo lo si definisca, che un bambino comandi un vecchio, che un imbecille guidi un saggio e che un pugno di uomini sia pieno di cose superflue mentre la moltitudine affamata manca del necessario.
Di lì a qualche tempo ci fu una rivoluzione che cambiò il mondo per sempre e lo fece in nome dei principi di libertà e uguaglianza. E fratellanza, anche: che non è certo quella tra politici che si uniscono, sotto il segno del potere, a qualsiasi costo, sempre e comunque.
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