Vi propongo, senza alcun commento, alcuni passi dall’ultimo libro di Walter Siti:
Il lavoro cattivo scaccia quello buono, tutti si sentono innocenti perché agiscono in situazione di emergenza ma si diffonde lo smarrimento: i sindacati si barcamenano incerti, i lavoratori talvolta li smentiscono e rifiutano accordi che ritengono offensivi, salvo pentirsene quando l’esito è la chiusura dello stabilimento. Erano almeno cinquant’anni che non si avvertiva così forte la crudeltà dei rapporti di lavoro.
Quando nel 1895 H. G. Wells scrisse La macchina del tempo, le sperequazioni sociali in Inghilterra erano così violente da far pensare che i poveri costituissero ormai un tipo umano sostanzialmente separato dal ceto borghese benestante (solo pochi anni dopo, nel 1902, Jack London ritrarrà i diseredati dell’East End londinese in uno straordinario reportage, intitolandolo Il popolo dell’abisso). Nel romanzo di storico di Wells la separazione si è irrigidita in due distinte razze: una di pallidi imbelli dominatori che vivono sulla superficie, gli Eloi, dediti all’arte e alla meditazione, e una di selvaggi sottoposti (i “produttori”) che vivono nelle viscere della terra, i Morlock.
Il “popolo sovrano” non sa quanto vale economicamente né quanto costino le sue libertà; gli argini di difesa, i terrazzamenti istituzionali (sindacati, statuti, organi di intermediazione politica) che garantivano un minimo di equità distributiva sono caduti; sotto la nube omologante di alcuni tratti antropologici comuni (fine delle buone maniere, disgregazione della famiglia, abbigliamento casual, cibo fusion, rimozione della morte) due razze ormai distinte si sono spartite il mondo.
In alto i sopra-uomini disincarnati, favoriti dalla distribuzione del tipo “chi vince piglia tutto”: sono i CEO delle grandi multinazionali dalle buonuscite favolose, I finanzieri esperti dell’high frequency trading o di titoli di Stato, i capi della criminalità organizzata, i best performer della società dello spettacolo che guadagnano in proporzione al numero di persone su cui agiscono (pop star della musica, calciatori, conduttori televisivi), semplice ereditieri.
In basso i sotto-uomini, carne da lavoro da mediatica indignazione: sono migranti clandestini o regolari ma poco integrati che recuperano usanze tribali, famiglie monoreddito con il capofamiglia in cassa integrazione, umile manovalanza malavitosa, licenziati e licenziate che lottano per non essere morosi con l’affitto, cinquantenni precari da sempre, ex artisti di ambito locale che hanno perduto le sovvenzioni statali, vecchi soli con la pensione minima, braccianti sfruttati dal caporalato – vivono in luoghi da cui la bellezza è assente.
In mezzo, i giovani di una sempre più evanescente classe media, coccolati e spersi, incapaci di non cedere alle tentazioni dell’abbondanza fittizia […]; non si fidano (giustamente) delle università di massa che frequentano, accumulano “crediti” e master; disprezzano i media tradizionali che fanno di ogni minuzia un effimero clamore soffiando sul fuoco dello scandalismo da quattro soldi, preferiscono lo streaming alla tivù generalista, però poi finiscono per spettacolarizzare se stessi sui social; si rassegnano a lavorare gratis e a spigolare tra tutte le offerte della “gratis economy”, come veri e propri mendicanti digitali; temono di scottarsi piedi nell’inferno che sta sotto di loro ma non hanno le scale reali per aspirare al mondo di sopra.
Walter Siti, Pagare o non pagare, Nottetempo.
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