Scandalo universale per l’uso delle armi chimiche in Siria, per il cecchino israeliano che uccide a tradimento e esulta, per le violenze che si affacciano sul Mediterraneo, per il gioco di tutti (ma proprio tutti) contro i curdi, per ciò che accade in Libia (meno, perché quello come ci ha spiegato oggi Minniti è funzionale al nostro benessere…), per le vendite di armi all’Arabia Saudita per devastare lo Yemen, per quel poco (e terribile) che sappiamo del Congo.

A nessuno viene in mente che il problema sono proprio le armi e quindi precisamente la guerra e che forse il pacifismo non è poi una posizione così impolitica come un certo pensiero (pensiero, quale pensiero?) dominante vorrebbe far credere.

Con Stefano Iannaccone abbiamo deciso di aprire uno spazio di discussione, di denuncia e di riflessione comune per illustrare le conseguenze della diffusione indiscriminata delle armi e, d’altro canto, per mostrare che cosa comporterebbe un maggiore impegno per un controllo degli armamenti a ogni livello e l’avvio di una più convinta politica di pace.

Chi parla di «gessetti colorati» e di «buonismo» e guarda con cinismo a ciò che accade, si tiene anche le storie che leggiamo ogni giorno. E, benché lo sappia benissimo, finge di non capire che sono soprattutto le guerre e le armi a provocare le migrazioni forzate di milioni di persone. E finge di non sapere che le armi le produciamo noi e le vendiamo noi, a quelli che fanno la guerra.

Diciamolo: così almeno ci evitiamo ipocrisie e resipiscenze che durano solo qualche minuto. E lasciano il mondo che trovano.

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